'Gandhi': il preside Franco Colombo in pensione dopo 40 anni di attività. ''Lavorare nella scuola è uno dei mestieri più belli''
Il dirigente scolastico Franco Colombo
Ultimi giorni da preside. Ha già fatto un bilancio?
Le sembrerà strano ma fino al 3 settembre sono ancora al lavoro per preparare organici e classi per il prossimo anno. Il bilancio ufficiale già l'ho fatto, compilando e inviando entro il 30 giugno il portfolio richiesto a tutti i dirigenti scolastici.
Oltre ai documenti ufficiali però, sono convinto che abbia già messo dei più e dei meno ai suoi anni da preside. Sbaglio?
Non sbaglia e posso riassumere tutto con una sola frase: in questi anni le gratificazioni sono state molte, ma molte di più, degli eventuali grattacapi, fastidi e impicci. Per rendere il bilancio così positivo il contributo della bella squadra con cui ho lavorato è stato essenziale: contrariamente a quanto si pensa, solo se trova un ambiente positivo un dirigente scolastico riesce a fare qualcosa di buono.
D'altronde è stato anche lei un docente, vero?
Sì, professore alle scuole superiori per ventitre anni e dieci alle scuole medie. Sono stati anni molto belli e ancora mi capita di incontrare con piacere miei ex alunni, ora diventati genitori o addirittura nonni.
Il preside Colombo terzo da sinistra alla recente premiazione del concorso indetto da Brianzacque
Dopo trentatre anni da insegnante, cosa l'ha spinta a diventare preside?
Alla fine è stato tutto più casuale che altro. Dopo anni di insegnamento, mi sono accorto che alcune situazioni proprio non mi andavano giù e ho pensato che da preside avrei avuto qualche opportunità in più per intervenire. Non è un mestiere che fa diventare ricchi, uno lo sa già, ma ha tutta una serie di aspetti positivi: ogni giorno non è mai uguale al precedente e i Promessi Sposi ogni anno saranno diversi perché nuovi sono gli studenti che ci si trova davanti. Personalmente ho potuto leggere tutti i libri che ho voluto e anche ascoltare le paturnie delle mamme è stato sicuramente meglio che ricevere lettere di "arrivederci e grazie" all'età di cinquant'anni o scoprire solo il giorno dopo se la tua azienda avrebbe riaperto oppure no. Lavorare nella scuola è uno dei mestieri più belli, a mio parere.
Il suo è un vero e proprio canto di amore per la scuola...
Assolutamente sì. Faccia conto che il prossimo 1 ottobre sarà il primo dal 1958, quando avevo sei anni, in cui non sarò all'interno di un ambiente scolastico. Ho passato l'intera vita tra i banchi scolastici e anche da assessore avevo la delega, immagini, alla "pubblica istruzione".
Vista questa sua esperienza decennale, ci può dire come ha visto cambiare la scuola in questi anni?
Parto con una premessa: il cambiamento è qualcosa di positivo e una scuola che non affronta questo tema non è una scuola. Altra questione è valutare la bontà o meno delle singole trasformazioni ma l'idea stessa che un insegnante, dopo dieci anni, riproponga ai ragazzi lo stesso identico menù non è proprio nel mio stile. Gli studenti cambiano e per rispettare la sua missione lo deve fare anche la scuola nelle sue diverse componenti. A me il XXI secolo come sfida piace molto ed è un passaggio né positivo né negativo di per sè, ma obbligato.
Quali sono state le trasformazioni più evidenti a cui ha assistito nel corso degli anni?
Facendo sorridere qualcuno, ho sempre definito la mia generazione come quella di "Rin Tin Tin": tutti i giorni, alle cinque e mezza, io e i miei coetanei guardavamo questo programma televisivo, uno dei primi. Passato quello però, mi vien da dire che per fortuna c'era la scuola altrimenti avremmo avuto pomeriggi un po' oziosi o occupati solo dal tirare quattro calci al pallone. I ragazzi di adesso invece, hanno una immensità di informazioni che noi ci scordavamo: non è ragionevole pensare che per loro la scuola sia tutto o quasi come lo era per noi. Siamo in mezzo al guado: si confrontano una scuola con tantissimi meriti rispetto al passato e un'altra che ha grandi difficoltà a misurarsi con il nuovo millennio. Personalmente ritengo il futuro professionalmente molto stimolante e, andandomene ora, ho il rimpianto di non riuscire a vedere come va a finire.
Il mondo della scuola italiana ha gli strumenti per affrontare questi cambiamenti?
Come se ne esce dalla situazione che ha descritto?
Ormai io sto uscendo dalla scuola, toccherà ad altri trovare delle soluzioni. Banalmente però, non dovrebbe essere il MEF (Ministero dell'Economia e delle Finanze), ma il MIUR (Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca) a prendere le decisioni di qualche peso sul sistema scolastico. Decide quanti soldi, quante classi, quanti studenti per classe, se più a nord o più a sud: tutto deve essere controfirmato dal Ministero dell'Economia e tanto varrebbe ormai spostare direttamente lì tutta la baracca.
Non ha quindi un giudizio positivo sulle diverse riforme che a partire dalla Berlinguer degli anni '90, hanno interessato il mondo della scuola?
Al netto dei tentativi più con l'occhio verso la politica che verso la scuola, credo che tutte le riforme abbiano portato qualcosa di positivo e abbiano risposto, seppure parzialmente e magari sbagliando, a quella esigenza di cambiamento che in ogni caso la scuola pubblica italiana ha. Ancora ho in tasca la tessera della CGIL scuola, ma spesso ho vissuto con difficoltà alcune posizioni assunte dal mio sindacato come l'opposizione alla "chiamata diretta": rispetto ai rischi, sono molte di più le potenzialità. Spesso succede che la finalità della scuola venga fraintesa: formare gli studenti, non sistemare i lavoratori della scuola.
Il preside Colombo durante la premiazione degli studenti al concorso Lions ''Un poster per la pace''
Le tante attività (feste per il quarantennale, incontri con gli autori a scuola per BookCity ndr) di quest'anno all'istituto "Gandhi" dimostrano però, che c'è ancora spazio per agire e cambiare le cose. Che ne dice?
All'Istituto "Gandhi" ci sono molte risorse positive che riescono a esprimersi in un contesto come quello della scuola superiore di Besana Brianza. Nel momento attuale infatti, a mio parere, la grande città rappresenta un limite per un istituto scolastico mentre al "Gandhi", al confine di quattro province e con ragazzi che arrivano da più di settanta comuni diversi, riesce a convivere la ricchezza della diversità di studenti di tanti paesi con un contesto in cui la famiglia continua a essere un valore, in cui i genitori sono ancora disposti a parlare con preside e docenti senza chiamare immediatamente il legale. Anche per gli studenti si tratta di un ambiente positivo in cui la scuola è ancora un posto dove anche chi non apre il libro si trova bene e può trovare qualcuno disposto a ascoltarlo.
Alla nuova preside lascia una bella eredità. Come è stato il passaggio di consegne e cosa le augura?
Innanzitutto son contento di aver già vinto la prima sfida: non fare un cambio di presidenza in piena estate a ridosso della riapertura delle scuole. La professoressa Virginia Rizzo infatti, è già stata al "Gandhi" più volte e le ho già raccontato tutto ciò che volevo dirle. Mi sembra una donna di grande passione e con la voglia di cominciare con il piede giusto.