Oggiono: Patrizio Oliva ospite in Municipio. ''Sport e cultura possono salvare i giovani''
Nel pomeriggio di sabato si è tenuto, presso la sala consiliare di Oggiono, un incontro aperto alla cittadinanza e ai giovani talenti dello sport alla presenza dell’ex pugile professionista Patrizio Oliva. Presente come mediatore dell’evento il consigliere di maggioranza Ferdinando Pucci Ceresa che ha accolto il pubblico presentando il campione e i suoi successi.

Patrizio Oliva
Nato e cresciuto a Napoli, in un quartiere difficile, Oliva si è approcciato al pugilato da giovanissimo facendo del suo sogno nel cassetto un obiettivo di vita ed arrivando così alla conquista dei titoli più bramati da ogni boxeur; celebre per la conquista dell’oro olimpico a Mosca, ha abbandonato la carriera dilettantistica lanciandosi in match contro i migliori professionisti d’Italia, d’Europa e mondiali conquistando in sequenza il primato nei superleggeri e welter.

“Abbiamo con noi oggi un grande campione - ha esordito Ceresa – che ha fatto sognare con i suoi combattimenti e incontri negli anni ’80, un atleta che portava grandi emozione ed un pugile che è riuscito a ridare luce a questo sport che, sinceramente, dopo Parisi ha faticato a brillare”. A questo punto la parola è passata direttamente al protagonista che ha raccontato ai presenti gli esordi della sua carriera, con una particolare attenzione su come lo sport possa essere uno dei più efficaci mezzi di inclusione ed aggregazione per i ragazzi, soprattutto per quelli come lui che sono cresciuti in un ambiente povero e governato dalla criminalità. “Il degrado che circonda i nostri giovani è creato dall’assenza di valori e di regole, mancanze che causano la crescita di fenomeni ormai conosciuti come il bullismo o le baby gang. Vedo quotidianamente ragazzi che commettono reati senza nemmeno sapere cosa stanno facendo, che entrano nella criminalità senza poi aver via d’uscita. Ma sapete quante volte – ha spiegato Oliva – sono stato affiancato da chi mi diceva ‘ma cosa vai a fare in palestra, vieni con noi!’. Lo sport e la cultura possono salvare”.

Partendo dunque dall’infanzia, il pugile ha trasmesso al pubblico la determinazione di chi un sogno lo ha avuto, coltivato ed anche realizzato nonostante la crudeltà dell’ambiente, le difficoltà economiche della famiglia e la bravura degli avversari. “L’impegno è ciò che trasforma una promessa in realtà – ha voluto sottolineare Oliva citando Abram Lincoln – a 8 anni io mi guardavo allo specchio e mi proclamavo campione olimpico da solo e non mi importava dei miei difetti, non mi importava se ero troppo magro e gracile perché sono riuscito a trasformare questa mia condanna in forza”.

E come spesso può accadere nella vita di uno sportivo, anche Oliva ha dovuto combattere contro un’inaspettata patologia che, molto giovane, ha colpito la mano destra: l’osteoporosi. Dopo aver consultato parecchi medici che consigliavano di appendere i guantoni al chiodo, il professionista ha deciso di allenare esclusivamente il braccio sinistro, ma mai di abbandonare la sua boxe. “Si deve sempre trovare una via di fuga – ha commentato – io non mi sono fermato e così il 15 marzo 1986 sono diventato campione del mondo con una mano sola”. Dopo aver concluso una carriera di successo, Oliva si è cimentato nel mondo dell’imprenditoria ed oggi si occupa della produzione di mozzarella di bufala all’estero aprendo diversi punti vendita, tra cui due a Londra. “Quando si capisce che un’attività non porta più a niente, si deve cambiare pur correndo dei rischi”. Nonostante il cambio di rotta non ha certamente dimenticato la boxe ed attualmente allena ancora quei giovani che non riescono a permettersi di pagare l’iscrizione alla palestra, lui insieme ad altri professionisti come Diego Occhiuzzi e Massimiliano Rosolino è infatti attivo nell’associazione Mille Culure di Napoli.

“Una volta compresi i miei limiti da pugile – ha infine raccontato – ha voluto sperimentare anche quelli da uomo partecipando all’Isola dei famosi. La mia paura più grande era quella di buttarmi dall’elicottero, ma una volta lì mi sono detto ‘ormai ci sei, chissà cosa penserà l’Italia di un pugile che ha paura di lanciarsi’. Si devono affrontare sempre rischi e paure”. Molte le domande dal pubblico, alcuni chiedevano come la boxe può aiutare i giovani ad acquisire sicurezza o se non avesse mai avuto paura oppure ancora se non fosse mai stato minacciato ed Oliva aveva sempre la risposta pronta. “La boxe insegna la razionalità. Un ragazzo timido, se è nelle mani di un allenatore competente, potrà acquisire autostima passo per passo. La prima regola è mai usare le mani fuori dalla palestra e se dovessi avere un confronto lo sostengo dimostrando di non avere timore e, soprattutto, non ne approfitto”. Altri hanno invece portato l’attenzione sul cambiamento che ha caratterizzato la boxe dagli anni ’80 fino ad oggi, toccando argomenti estremamente delicati, come quello della gestione italiana di questo sport. “Sicuramente ci sono stati 20 anni di cattiva politica federale – ha commentato Oliva – ma è anche vero che i ragazzi si sono indeboliti e chi riesce ad ottenere vittorie li definisco comunque dei ‘campioni a metà’. Lo stesso Russo ad esempio: è facile combattere sui 3 round, ma provino ora a farne 15 come li avevo fatti io. Il pugilato italiano era quello che veniva trasmesso in prima serata, io ho portato 12 milioni di telespettatori, il pugilato italiano è morto se non si attiva un processo di rinnovamento che, comunque, richiederebbe molti anni”. La parola è stata poi ceduta al Massimo Bugada, presidente del Comitato Regionale Lombardo F.P.I. che, sulla scia di Oliva, ha commentato il pugilato ai giorni nostri “quello che manca è il coraggio. Il coraggio nei ragazzi ed il coraggio di voler cambiare ciò che non va e migliorare ciò che dovrebbe essere migliorato”. Al termine dell’incontro i presenti si sono preparati per raggiungere l’istituto Bachelet dove si sono tenuti, per concludere la serata a tema, degli incontri di boxe tra i migliori giovani italiani e stranieri, con anche la presenza di due professionisti; primo addetto alla preparazione del ring e delle attrezzature l’allenatore Michele. “Noi parliamo di Patrizio Oliva non solo perché è pugile – ha dichiarato – ma anche perché lavora nell’ambito sociale, ci sono davvero pochi professionisti che hanno il cuore grande di Patrizio”.

Infine, altri due ospiti d’eccezioni hanno partecipato all’incontro e preso parola per presentare l’eccezionale progetto “Un pugno al Parkinson” a cura di Tiberio Roda, fondatore di Rock Steady Boxing Como Lake, la prima palestra italiana di boxe senza contatto nata a Longone al Segrino. L’atleta, dopo aver scoperto la patologia nel 2013, ha deciso di non arrendersi ed a seguito di ricerche ha scoperto la fondazione americana Rock Steady Boxing, oltre ai numerosi congressi mondiali in lotta contro il Parkinson attraverso il pugilato. Dopo aver sperimentato su di sé gli effetti positivi della boxe, Roda si è sempre più specializzato al fianco della compagnia Paola Roncareggi ed ha quindi approfondito la tecnica attraverso corsi di formazione ed aggiornamento nel mondo. Oggi entrambi sono coach a tutti gli effetti ed il loro intento è quello di migliorare la qualità della vita a chi è vittima della malattia, così da trasformare come ha fatto Oliva una condanna in un punto di forza.

Patrizio Oliva
Nato e cresciuto a Napoli, in un quartiere difficile, Oliva si è approcciato al pugilato da giovanissimo facendo del suo sogno nel cassetto un obiettivo di vita ed arrivando così alla conquista dei titoli più bramati da ogni boxeur; celebre per la conquista dell’oro olimpico a Mosca, ha abbandonato la carriera dilettantistica lanciandosi in match contro i migliori professionisti d’Italia, d’Europa e mondiali conquistando in sequenza il primato nei superleggeri e welter.

“Abbiamo con noi oggi un grande campione - ha esordito Ceresa – che ha fatto sognare con i suoi combattimenti e incontri negli anni ’80, un atleta che portava grandi emozione ed un pugile che è riuscito a ridare luce a questo sport che, sinceramente, dopo Parisi ha faticato a brillare”. A questo punto la parola è passata direttamente al protagonista che ha raccontato ai presenti gli esordi della sua carriera, con una particolare attenzione su come lo sport possa essere uno dei più efficaci mezzi di inclusione ed aggregazione per i ragazzi, soprattutto per quelli come lui che sono cresciuti in un ambiente povero e governato dalla criminalità. “Il degrado che circonda i nostri giovani è creato dall’assenza di valori e di regole, mancanze che causano la crescita di fenomeni ormai conosciuti come il bullismo o le baby gang. Vedo quotidianamente ragazzi che commettono reati senza nemmeno sapere cosa stanno facendo, che entrano nella criminalità senza poi aver via d’uscita. Ma sapete quante volte – ha spiegato Oliva – sono stato affiancato da chi mi diceva ‘ma cosa vai a fare in palestra, vieni con noi!’. Lo sport e la cultura possono salvare”.

Partendo dunque dall’infanzia, il pugile ha trasmesso al pubblico la determinazione di chi un sogno lo ha avuto, coltivato ed anche realizzato nonostante la crudeltà dell’ambiente, le difficoltà economiche della famiglia e la bravura degli avversari. “L’impegno è ciò che trasforma una promessa in realtà – ha voluto sottolineare Oliva citando Abram Lincoln – a 8 anni io mi guardavo allo specchio e mi proclamavo campione olimpico da solo e non mi importava dei miei difetti, non mi importava se ero troppo magro e gracile perché sono riuscito a trasformare questa mia condanna in forza”.

E come spesso può accadere nella vita di uno sportivo, anche Oliva ha dovuto combattere contro un’inaspettata patologia che, molto giovane, ha colpito la mano destra: l’osteoporosi. Dopo aver consultato parecchi medici che consigliavano di appendere i guantoni al chiodo, il professionista ha deciso di allenare esclusivamente il braccio sinistro, ma mai di abbandonare la sua boxe. “Si deve sempre trovare una via di fuga – ha commentato – io non mi sono fermato e così il 15 marzo 1986 sono diventato campione del mondo con una mano sola”. Dopo aver concluso una carriera di successo, Oliva si è cimentato nel mondo dell’imprenditoria ed oggi si occupa della produzione di mozzarella di bufala all’estero aprendo diversi punti vendita, tra cui due a Londra. “Quando si capisce che un’attività non porta più a niente, si deve cambiare pur correndo dei rischi”. Nonostante il cambio di rotta non ha certamente dimenticato la boxe ed attualmente allena ancora quei giovani che non riescono a permettersi di pagare l’iscrizione alla palestra, lui insieme ad altri professionisti come Diego Occhiuzzi e Massimiliano Rosolino è infatti attivo nell’associazione Mille Culure di Napoli.

“Una volta compresi i miei limiti da pugile – ha infine raccontato – ha voluto sperimentare anche quelli da uomo partecipando all’Isola dei famosi. La mia paura più grande era quella di buttarmi dall’elicottero, ma una volta lì mi sono detto ‘ormai ci sei, chissà cosa penserà l’Italia di un pugile che ha paura di lanciarsi’. Si devono affrontare sempre rischi e paure”. Molte le domande dal pubblico, alcuni chiedevano come la boxe può aiutare i giovani ad acquisire sicurezza o se non avesse mai avuto paura oppure ancora se non fosse mai stato minacciato ed Oliva aveva sempre la risposta pronta. “La boxe insegna la razionalità. Un ragazzo timido, se è nelle mani di un allenatore competente, potrà acquisire autostima passo per passo. La prima regola è mai usare le mani fuori dalla palestra e se dovessi avere un confronto lo sostengo dimostrando di non avere timore e, soprattutto, non ne approfitto”. Altri hanno invece portato l’attenzione sul cambiamento che ha caratterizzato la boxe dagli anni ’80 fino ad oggi, toccando argomenti estremamente delicati, come quello della gestione italiana di questo sport. “Sicuramente ci sono stati 20 anni di cattiva politica federale – ha commentato Oliva – ma è anche vero che i ragazzi si sono indeboliti e chi riesce ad ottenere vittorie li definisco comunque dei ‘campioni a metà’. Lo stesso Russo ad esempio: è facile combattere sui 3 round, ma provino ora a farne 15 come li avevo fatti io. Il pugilato italiano era quello che veniva trasmesso in prima serata, io ho portato 12 milioni di telespettatori, il pugilato italiano è morto se non si attiva un processo di rinnovamento che, comunque, richiederebbe molti anni”. La parola è stata poi ceduta al Massimo Bugada, presidente del Comitato Regionale Lombardo F.P.I. che, sulla scia di Oliva, ha commentato il pugilato ai giorni nostri “quello che manca è il coraggio. Il coraggio nei ragazzi ed il coraggio di voler cambiare ciò che non va e migliorare ciò che dovrebbe essere migliorato”. Al termine dell’incontro i presenti si sono preparati per raggiungere l’istituto Bachelet dove si sono tenuti, per concludere la serata a tema, degli incontri di boxe tra i migliori giovani italiani e stranieri, con anche la presenza di due professionisti; primo addetto alla preparazione del ring e delle attrezzature l’allenatore Michele. “Noi parliamo di Patrizio Oliva non solo perché è pugile – ha dichiarato – ma anche perché lavora nell’ambito sociale, ci sono davvero pochi professionisti che hanno il cuore grande di Patrizio”.

Infine, altri due ospiti d’eccezioni hanno partecipato all’incontro e preso parola per presentare l’eccezionale progetto “Un pugno al Parkinson” a cura di Tiberio Roda, fondatore di Rock Steady Boxing Como Lake, la prima palestra italiana di boxe senza contatto nata a Longone al Segrino. L’atleta, dopo aver scoperto la patologia nel 2013, ha deciso di non arrendersi ed a seguito di ricerche ha scoperto la fondazione americana Rock Steady Boxing, oltre ai numerosi congressi mondiali in lotta contro il Parkinson attraverso il pugilato. Dopo aver sperimentato su di sé gli effetti positivi della boxe, Roda si è sempre più specializzato al fianco della compagnia Paola Roncareggi ed ha quindi approfondito la tecnica attraverso corsi di formazione ed aggiornamento nel mondo. Oggi entrambi sono coach a tutti gli effetti ed il loro intento è quello di migliorare la qualità della vita a chi è vittima della malattia, così da trasformare come ha fatto Oliva una condanna in un punto di forza.
Angelica Badoni