Dalla Cornovaglia (GB) Sara ci racconta la sua quotidianità dopo l'emergenza Covid-19
Sara Baistrocchi
-Sara, innanzitutto: cosa ti ha portato a lasciare l'Italia scegliendo di vivere in Cornovaglia?
Mi sono trasferita in Inghilterra dieci anni fa. Il mio ex marito aveva ricevuto un'inaspettata offerta di lavoro da un'azienda in Cornovaglia ed abbiamo deciso di provare a vivere questa esperienza all'estero. È stato tutto molto improvviso e la scelta è stata presa in fretta. Abbiamo due figli e in quel momento erano piccoli (8 e 2 anni) e ci è sembrata un'occasione da non perdere, che sicuramente non ci sarebbe ricapitata. Ambientarsi non è stato facile perché io la lingua la conoscevo soltanto a livello scolastico, cioè praticamente per niente. E la Cornovaglia è una zona molto povera dell'Inghilterra, per cui ci ho messo tantissimo a trovare lavoro, quasi due anni. Però alla fine pian piano siamo riusciti a costruirci una vita vera e propria. I bambini si sono ambientati in fretta e nel giro di pochi mesi parlavano inglese fluentemente. Qui si vive bene, anche se siamo estremamente periferici e isolati (anche prima del coronavirus!). La cittadina più grande è Bristol, che si trova a tre ore di macchina, mentre Londra a cinque ore circa. Tornare in Italia (di solito lo facciamo d'estate) è sempre un po' un'avventura, e bisogna mettere in conto una giornata intera di viaggio. Comunque noi viviamo a Falmouth - che nonostante per secoli sia stato un porto importantissimo (è uno dei porti naturali più grandi d'Europa) e in epoca vittoriana ha rappresentato il principale punto di partenza di viaggi transoceanici - una cittadina di circa 20.000 abitanti. Io lavoro per il Comune, organizzando progetti, eventi ed attività educative per Falmouth Art Gallery e il centro culturale locale. È un bel posto in cui vivere e far crescere i bambini. I paesaggi sono da sogno e il senso di comunità è molto forte. Però come dicevo, siamo molto isolati dal resto dell'Inghilterra (e del mondo!); la nostra è una regione molto povera e socialmente deprivata, piena di contraddizioni. La gente locale spesso fa fatica ad arrivare alla fine del mese e c'è una marea di gente ricca che ha la seconda o terza casa qui, pur vivendo a Londra o in altre città, e viene qui a passare le vacanza. Una situazione un po' simile ad alcune regioni del nostro sud d'Italia. A livello di servizi, alcune cose funzionano molto bene, altre per niente (tutto il mondo è paese).
-Quali misure ha messo in campo il Parlamento inglese per contrastare l'epidemia?
La posizione del Governo è cambiata. All'inizio minimizzavano molto, poi nel giro di pochissimi giorni c'è stato il blocco totale. Credo anche dovuto al fatto che la gente non stava prendendo la cosa sul serio e tutti continuavano la loro vita in modo normale.
Al momento è da poco più di una settimana che qui è partita la quarantena. Si guardava alla situazione italiana con trepidazione, ma poi si è sviluppato tutto molto in fretta. Hanno chiuso le scuole e tutti sono stati invitati a lavorare da casa e ad osservare l'isolamento. Essendo un posto molto rurale, dove i ritmi di vita sono normalmente molto lenti, non c'è stato (o per lo meno, non ancora) un impatto molto traumatico. Quasi tutti hanno il giardino o è abbastanza facile ‘scappare' per una passeggiata su qualche sentiero solitario. Però c'è preoccupazione per il possibile impatto che il virus potrebbe avere sul sistema sanitario, sia a livello nazionale che, ancora peggio, regionale. Qui in Cornovaglia c'è un solo ospedale, che già normalmente fa fatica a gestire la domanda; ovviamente ci auguriamo tutti che il fatto di essere la regione più remota dell'Inghilterra possa rivelarsi utile in questo caso è ci risparmi una tragedia. Comunque, al momento questo è quanto, in termini di smart working e smart learning il mondo anglosassone è generalmente ben organizzato (lo era già prima del coronavirus), quindi da quel punto di vista non è stato complicato. Come dicevo però qui la vita è molto basata sugli scambi sociali comunitari e doverli limitare ha comportato un po' di disorientamento nelle persone. Le direttive prevedono di stare a casa, uscire solo per necessità (spesa, farmacia...), mantenere due metri di distanza, indossare mascherina e guanti.
-Che impatto ha avuto il virus sulla vostra vita quotidiana?
Allora, in Cornovaglia i numeri dei contagiati si aggira intorno alle 40 persone. La routine quotidiana è cambiata parecchio. Ufficialmente è tutto chiuso e si lavora da casa. Qui è un posto molto turistico e adesso stava per iniziare la stagione (con le vacanze di Pasqua), ma hotel, ristoranti, bar e tutti i locali e le attività di ricezione turistica hanno chiuso.
-Come ha reagito la popolazione alla notizia del virus?
L'assalto ai supermercati c'è stato ed è iniziato qualche settimana fa, quando ancora non era stata dichiarata l'emergenza. Per giorni non si riusciva a trovare carta igienica! Adesso la situazione è migliorata, anche perché ci sono le stesse regole dell'Italia (code ai supermercati, solo un certo numero di persone possono entrare alla volta, non si possono comprare più di tre cose dello stesso tipo).
Una cosa particolare, che non mi sembra sia successa in Italia, è che le scuole sono ancora aperte solo per i figli di ‘key workers' (principalmente persone che lavorano nella sanità).
Una testimonianza preziosa quella di Sara, che ci aiuta a comprendere come si sta affrontando - in angoli del mondo diversi - la lotta al Coronavirus.