Molteno: il prof. Fuggetta parla di ricerca e innovazione come motore di sviluppo

Ricerca, spesa intelligente, formazione e innovazione per sviluppare un Paese, il nostro. Sono stati questi i principali temi al centro dell’incontro promosso venerdì 3 dicembre dall’associazione "L'Asino di Buridano", con il patrocinio del Comune di Molteno. Ospite della serata, avvenuta nella sala consiliare, è stato Alfonso Fuggetta, professore al Politecnico di Milano, CEO del centro per l'innovazione, la ricerca e la formazione CEFRIEL. “Il Paese innovatore. Un decalogo per reinventare l’Italia” è il suo ultimo libro che, dopo i saluti introduttivi del sindaco Giuseppe Chiarella, ha presentato rispondendo le domande del presidente dell’associazione Simone Galimberti. Il volume parla della necessità di uno stato che sostenga imprese, cittadini e associazioni nel promuovere l’innovazione: solo in questo modo si può favorire lo sviluppo e il benessere di tutti.



Il professore ha subito distinto tra ricerca e innovazione: “La ricerca è un’attività silenziosa e lunga che a volte non porta a niente. Si crea però un concentrato di conoscenze che arricchisce il nostro patrimonio. L’innovatore è colui che riesce a distillare i risultati della ricerca nella società”. Si tratta, in sostanza, di due mestieri diversi.
Fuggetta ha meglio approfondito il concetto riprendendo l’esperienza americana, di uno stato che dà la direzione all’economia. “In uno dei Paesi più liberisti al mondo si vede che lo stato spende tante risorse per finanziamenti alla ricerca, che crea conoscenza. Oltre a ciò, compra e compra bene, come nella difesa. Dal punto di vista industriale, c’è una spinta alla ricerca e all’innovazione che fa avanzare l’industria e rimane poi patrimonio”. In questo modo si stimola lo sviluppo delle tecnologie. “Lo stato deve spendere bene, comprare bene, investire nell’attività di ricerca e non fare l’imprenditore: non compete con nessuno, quindi non è in grado di fare il mestiere di altri, l’imprenditore”.



Per il professore è imprenscindibile spendere bene le risorse: non sono un buon investimento i contributi a pioggia che vengono spesso assegnati al nostro stato. “Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci sono cinque centri di ricerca nazionale, che sono formati da un network di università, così quando arrivano le risorse vengono distribuite a tutti”.



Un altro problema centrale, oltre a quello degli investimenti mirati nella ricerca, è il livello di formazione e cultura che, a giudizio del professore, necessita di essere innalzato per rispondere alla richiesta del mercato delle imprese.
“Dobbiamo potenziare gli ITS, ridurre l’abbandono scolastico e aumentare il livello medio della formazione - ha specificato -. Nel mondo di oggi, o si studia, ci si forma, si cresce o si blocca il futuro. Non basta spendere soldi, bisogna spenderli bene. Diciamo sempre che abbiamo troppe università: non è così, il fatto è che sono distribuite male”.



Ha poi posto un esempio raffrontando il numero di studenti e le risorse a disposizione del Politecnico di Milano e del MIT di Boston, università di eccellenza mondiale. “Dobbiamo fare in modo che il sistema educativo sia allineato ai bisogni delle imprese del paese, altrimenti saremo sempre lì ad annaspare”. Le specializzazioni cui fa riferimento sono quelle prettamente tecniche. Non devono però esistere solo istituti di questo tipo: “è tutta una questione di equilibri”, ha sostenuto, in merito alle facoltà umanistiche. Le scuole dovrebbero anche ripensare i programmi scolastici, stando al passo con l’avanzamento delle tecnologie digitali.



Fuggetta è stato anche molto critico sulla legislazione italiana: “Noi siamo, anche per motivi storici-culturali, ossessionati dall’idea di punire chi sbaglia per prevenire la truffa e così si rende complicata la vita a chi fa il lavoro quotidiano. Anziché preoccuparci di aiutare i buoni, cerchiamo di "colpire" i cattivi”. Un aspetto condiviso anche dal primo cittadino: “Viviamo nella cultura del sospetto - ha commentato Chiarella -. Ci sono tante norme che complicano le cose e diventa anche più facile derogarle; inoltre cambiano giornalmente. Per quale motivo non si riesce a fare qualcosa di significativo? Abbiamo preso così tanti contributi per il Covid che non sapevamo nemmeno dove metterli. Tra qualche anno, penso che li dovremo ripagare in qualche modo”.



Sulla questione il professore ha individuato tre elementi da cui far partire le riflessioni: “Abbiamo un profondo problema di competenze. Problemi complicati, che richiedono conoscenze approfondite: questo non elimina gli errori, ma riduce la probabilità che avvengano. Ci sono anche gli interessi da considerare, magari pezzi dello stato e, infine, un'altra criticità è la politica, la classe dirigente”.
M.Mau.
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