Monticello: a tre anni e mezzo dal sinistro stradale nel quale era rimasto coinvolto, Diego si è spento. Aveva solo 22 anni

Sono stati 1291 giorni di sofferenza e di dolore. Lo ha ricordato questo pomeriggio don Marco Crippa, chiamato al difficile compito di pronunciare l'omelia in occasione delle esequie funebri di Diego Scaccabarozzi, 22 anni soltanto.
Una giovanissima vita spezzata, l'ennesima, al culmine di un lungo calvario che - superata la speranza iniziale - ha strappato lo studente monticellese, grande appassionato di calcio, all'affetto dei suoi cari, in particolare della mamma Anna.

In alto a sinistra una vecchia immagine di Diego con la maglia dell'Asd Sirtorese scelta come profilo Facebook

Era il 7 luglio 2018: un venerdì sera come tanti, ma che per Diego ha rappresentato l'inizio di un percorso difficile, fra un ospedale e l'altro, sino alla morte sopraggiunta lo scorso sabato. Risale a tre anni e mezzo fa l'incidente stradale nel quale l'allora 19enne era rimasto coinvolto mentre a bordo di una Lancia Y insieme ad altri tre amici, stava percorrendo la strada che collega Sirtori a Barzanò. All'improvviso l'impatto violentissimo con un'altra vettura che viaggiava nel senso di marcia opposto, in salita. Ad avere la peggio proprio il ragazzo residente a Torrevilla, passeggero dell'auto, trasferito d'urgenza all'ospedale Manzoni di Lecco. Le speranze che potesse riprendersi si sono fatte di giorno in giorno sempre più flebili sino al drammatico epilogo di questi giorni.
''Non so se ci sono parole capaci di rispondere a questo vostro silenzio'' ha detto il parroco don Marco rivolgendosi ai fedeli che hanno gremito la parrocchiale di Sant'Agata, così come il sagrato esterno. ''I suoi sogni e i suoi gesti d'amore potevano diventare vita. Invece Diego si è trasformato in un fiore delicato, bisognoso ogni giorno di cure e di attenzioni''.

Il sacerdote, nel suo intenso intervento carico di emozione, ha ricordato lo scandire impietoso dei giorni: ben 1291 trascorsi fra una struttura ospedaliera e l'altra. ''Giorni di prigionia e di dolore in cui la morte si è presa gioco di noi, delle nostre pene e delle nostre speranze. Il trascorrere del tempo ci ha fatto persino credere che proprio la morte sarebbe stata la soluzione e il sollievo a questo grande dolore. Una morte preceduta da una lunga pena: a cosa è servita?'' ha aggiunto don Marco, chiedendosi se in tutto questo tempo Diego abbia compreso o pensato a quello che gli stava capitando, mentre ''noi eravamo impotenti e nulla potevamo fare per farlo uscire da quella gabbia. Solo la morte aveva le chiavi. Abbiamo pregato senza sapere cosa, senza sapere se qualcuno ci avrebbe ascoltati. I giorni sono stati faticosi per noi, ma di più per te Diego, ancora più lenti. Perchè le cure non bastavano e perchè non sapevamo più che cosa sperare''.

Un quadro di sconforto, intriso di dolore e di tristezza, ma che secondo don Marco ci deve dare la forza di andare oltre. Di pensare a quanto sia preziosa la vita, al punto da abbracciarla ogni giorno, con riconoscenza. ''Contro la morte non possiamo nulla: non siamo noi a decidere come morire, ma possiamo perlomeno decidere come vivere. Chi accarezzare, chi amare, con chi stringere legami. Questa situazione ci ha insegnato ad amare la vita e le persone, anche quando noi ci sono più. Siamo al mondo per dare amore: siamo capaci di amare nei fatti e nella verità e in questa circostanza lo abbiamo fatto per 1291 giorni'' ha concluso don Marco.

Al termine delle esequie il feretro ricoperto da un tappeto di fiori bianchi sul quale erano adagiate la maglia biancoverde della Sirtorese - la società calcistica nella quale Diego militava - e una sciarpa neroazzurra, ha lasciato la parrocchiale per avviarsi al vicino cimitero. Prima però - in un silenzio rotto soltanto dalle lacrime - il sentito abbraccio ai suoi cari da parte di familiari e amici, straziati da un'agonia troppo lunga e da un destino impietoso.
G. C.
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