Colle: nipote di un deportato, Chiara con il suo racconto insegna a ''fare memoria''

''Non annegare. Allenati a nuotare per tanto, tanto tempo. Non annegare. Allenati a gridare aiuto. Non annegare''. I versi del poeta Michael Rosen, letti dalla bibliotecaria Paola Marchetti, hanno rotto il silenzio che nascondeva la profonda emozione di cui era pervaso ogni angolo della piccola biblioteca ''Teresa e Giovanni Argentini'' di Colle Brianza.

Per la Giornata della Memoria, l'amministrazione comunale e la biblioteca hanno invitato Chiara Spreafico, insegnante e nipote di un deportato. Il primo cittadino Tiziana Galbusera ha presentato l'iniziativa come una ''testimonianza che ci può aiutare a fare in modo che ciò che è successo non accada più'' e poi ha invitato i bambini presenti a ''fare tutte le domande che volete''. La risposta del gruppo di bambini presenti è stata timida ma solo perché la loro attenzione era concentrata sulla persona che era comparsa in una biblioteca che, a giudicare dalla sicurezza con cui si muovevano prima dell'inizio dell'incontro, conoscevano molto bene. Rivolgendosi agli adulti presenti, il sindaco ha quindi ricordato che, per domenica 6 febbraio, l'amministrazione ha organizzato una gita presso Sciesopoli, ossia una vecchia colonia fascista, situata a Selvino in provincia di Bergamo, in cui durante la guerra furono ospitati e salvati circa 800 bambini ebrei. Oltre al trasferimento in pullman, la visita, organizzata con l'indispensabile aiuto della volontaria Giulia Riva, prevede un tour guidato nell'edificio e nel museo della memoria annesso.

Paola Marchetti, Chiara Spreafico, Giulia Riva

Dopo questa comunicazione di servizio, proprio Giulia Riva ha preso la parola e ha spiegato ai suoi piccoli ascoltatori che ''bisogna ricordare soprattutto le cose brutte, così che non si commettono gli stessi disastri che hanno commesso gli altri. Il nonno di Chiara ha fatto proprio questo: ha raccontato la cosa brutta che ha vissuto a Chiara e poi le ha detto di dirla anche agli altri per evitare che essi si dimentichino''. Con la lettura della prima delle tre poesie di Micheal Rosen che hanno contribuito a rendere l'intervento ancora più significativo, la bibliotecaria Paola Marchetti ha quindi creato il giusto clima per il discorso iniziato da Chiara Spreafico. Quella dell'insegnante di Galbiate, però, non è stata solo una testimonianza. È stato un paziente lavoro di costruzione di un'immagine da usare come veicolo di un messaggio e di valori in cui si crede, così come un pittore è solito comunicare la sua visione del mondo nei quadri che dipinge. Del resto, al nonno di Chiara Spreafico, Giuseppe Bonanomi, tra le altre cose piaceva molto scrivere poesie. L'intervento odierno di sua nipote, però, non è partito da una poesia ma da una lettera in cui Bonanomi ha riassunto la sua vita da prigioniero. Questo documento, di cui l'insegnante Spreafico ha inserito una copia nel libretto che è stato consegnato ai bambini alla fine dell'iniziativa, ha costituito la trama del racconto. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, il ventenne soldato Giuseppe Bonanomi, rifiutò di collaborare con i tedeschi e per questo fu fatto prigioniero e trasportato in Polonia, vicino a Sudauen, dove rimase per due anni. Durante questa odissea, il nonno di Chiara Spreafico passò da un campo di concentramento all'altro, lavorando nei campi, alla ferrovia, in una fabbrica da zucchero. Come un pittore parte da un disegno in matita per realizzare la sua opera, così la docente, partendo da questa trama, ha costruito la sua immagine con un intervento così appassionato da farla imprimere nella mente dei suoi attentissimi ascoltatori.

Tiziana Galbusera, Chiara Spreafico, Paola Marchetti

 

Alcune delle pennellate dell'insegnate sono atroci, come quando ha chiesto ai bambini a cosa servisse, secondo loro, il secchio posto in mezzo al carro bestiame con cui i prigionieri come suo nonno vennero portati nei campi di concentramento. Silenzio. Ad un certo punto ha alzato la mano un bambino ''per fare i suoi bisogni''. ''Esatto, pensate che puzza ma soprattutto che umiliazione'' ha risposto Chiara Spreafico. Silenzio.
Poi ad un certo punto la svolta: ''come pensate si sia salvato mio nonno?'' ha chiesto fieramente la nipote di Giuseppe Bonanomi ai suoi ospiti. Raccolte le ipotesi, Chiara Spreafico si è alzata e, così come suo nonno fece con lei quando era piccola, mimò la scena in cui il parente, di fronte alla richiesta di un generale tedesco, si propose come panettiere. Nonostante non sapesse fare il pane, questa scelta consentì al nonno della maestra di Galbiate di salvarsi perché poco dopo lo trasferirono a lavorare come garzone in una bottega. Liberato dall'armata rossa nel Maggio del 1945, Giuseppe Bonanomi tornò a casa quattro mesi dopo e iniziò a condurre una vita normale. Nel 1986 è stato insignito del Diploma d'onore al combattente per la libertà d'Italia dal Presidente della Repubblica Italiana Cossiga per essere stato internato militare non collaborazionista volontario né con i tedeschi né con i fascisti, contribuendo alla Resistenza. Gli è stata riconosciuta anche la Croce al merito di guerra in quanto internato dai nazisti.
E il messaggio? I valori comunicati con l'immagine costruita con questo intervento? Sono racchiusi in un'immagine e in una frase.

Oggetti di Giuseppe Bonanomi

 

L'immagine è la foto della scritta ''Indifferenza'' posta nei pressi del binario 21 della stazione centrale di Milano, quello da cui partivano i prigionieri diretti nei campi di concentramento. La frase è quella che Chiara Spreafico si è sentita dire dalla guida che la ha accompagnata nella visita del museo creato intorno a quel binario fantasma: ''Non c'è mai un motivo buono per odiare''.
Ecco il messaggio che, onorando la missione a cui è stata chiamata da suo nonno, ha trasmesso con il suo racconto: bisogna ricordare ciò che è successo per non essere indifferenti come furono i cittadini di Milano di fronte ai rastrellamenti e per non odiare come odiavano i nazisti. La memoria come arma contro l'odio e l'indifferenza.
Andrea Besati
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