Oggiono: Giuseppe Costanza, autista di Giovanni Falcone ricorda Capaci

«È molto bello vedere questa sala piena e ha anche un grande significato, vuol dire che tutti noi stiamo cercando di ricordare quello che successe, era un sabato di 30 anni fa, il 23 maggio 1992» ha spiegato in apertura dell'incontro l'assessore alla cultura di Oggiono Giovanni Corti. Tornando con la memoria ai giorni della strage di Capaci e ricordando le vittime - il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morbillo e gli agenti Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani - l'esponente della giunta ha introdotto Giuseppe Costanza - all'epoca autista di Falcone - spiegando come vi sia necessità, oggi, di ricordare e riflettere su quei fatti. Considerando che «la verità o le verità non sono ancora emerse del tutto».

Giuseppe Costanza (a sinistra) con l'assessore Giovanni Corti

«Oggi avrete delle notizie poco gradite, ma vanno dette». Fin dalle prime battute del suo intervento Costanza ha chiarito che le sue parole sarebbero state pesanti. «Perché certe verità non vanno tenute dentro, ma vanno divulgate per far si che quello che è successo non vada a ripetersi».

Ripercorrendo i fatti di quel giorno, e in particolare le ore prima dell'attentato, Costanza ha spiegato «Alle 7.00 del mattino mi chiamò Falcone, chiamò a casa mia». Il motivo della telefonata era la necessità del giudice di comunicare al suo autista l'organizzazione del suo trasferimento dall'aeroporto di Punta Raisi. «Il mio compito - ha proseguito Costanza - era avvisare la scorta perché, stranamente, il dottor Falcone non comunicava agli uffici competenti i suoi spostamenti, ma me li comunicava a casa».

Per distrazione, alla luce della necessità di organizzare uno scambio d'auto, il giudice Falcone tolse le chiavi dalla macchina mentre stavano percorrendo l'autostrada. Un gesto che provocò un improvviso rallentamento del convoglio. «Invece che finire "dentro" l'esplosione, come è capitato alla prima macchina, siamo andati a cozzare contro il muro di detriti che si sono sollevati». «C'è stato uno scontro frontale» ha spiegato Costanza ricordando come il gesto di Falcone ha finito inconsapevolmente per salvare la sua vita. «Purtroppo - ha spiegato - lui e sua moglie non ce l'hanno fatta, io da dietro sono finito davanti, andando a sbattere contro lo specchietto retrovisore e sfondando il parabrezza, il contraccolpo poi mi ha riportato dentro. Sono svenuto, mi hanno trovato fra i sedili anteriori e posteriori».

Costanza ha ricordato come lui non sia l'unico sopravvissuto dell'attentato. Infatti, se nella prima macchina del convoglio viaggiavano i membri della scorta Montinaro, Di Cillo e Schifani, colpiti più gravemente dall'esplosione, una terza auto, con a bordo altri tre agenti, "chiudeva" il convoglio. «Perché non si parla mai di questi sopravvissuti?» ha chiesto Costanza ricordando come, nei momenti immediatamente successivi all'esplosione, questi tre agenti feriti siano scesi dall'auto e si siano messi a difesa della macchina di Falcone temendo anche un conflitto a fuoco.

Precisando come lui sia stato un dipendente del ministero della Giustizia e non un agente di polizia, l'ex autista di Falcone ha riportato alla luce le diverse problematiche che il giudice ha dovuto affrontare prima della sua uccisione a Capaci. Fra cui le mancate assegnazioni in ruoli strategici per la lotta alla mafia, come l'Ufficio Istruzione, nella Procura di Palermo.

Durante la serata è stato dedicato spazio anche all'approfondimento di quanto avvenuto all'Addaura nell'89. Un tentato attentato del quale alcuni contorni non sono mai stati chiariti e di cui Costanza è stato testimone diretto, a partire dalle operazioni di disinnesco della bomba, lasciata sul molo della casa vacanze di Falcone, il cui detonatore è sparito. «Non è stato più trovato - ha spiegato - perché dal detonatore si sarebbe potuti risalire a chi lo ha fornito».

Costanza ha ricordato anche la visita che gli fece il giudice Paolo Borsellino in ospedale, dopo la strage di Capaci, e di come lui stesso si recò in via D'Amelio subito dopo che lo stesso Borsellino restò a sua volta vittima di un attentato. In particolare, l'ex autista di Falcone ha ricordato lo stretto cordone di polizia che avrebbe impedito a chiunque non fosse stato membro delle forze dell'ordine di accedere all'area della strage e sottrarre la famosa agenda rossa del giudice.

«Quelli che hanno fatto le stragi sono stati la manovalanza usata dalla mafia, ma la vera mafia dov'è?» si è chiesto concludendo «Spero che prima o poi vi sarà un'altra verità».

L. A.
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