Sirtori: serata di approfondimento con RiFuGio per riprendere i fili della crisi afgana 

Complessità. Nell'agosto scorso il telegiornale ha portato nelle nostre case immagini di persone che si aggrappavano ad aerei in fase di decollo per poi cadere nel vuoto. Di fronte a quelle testimonianze, qualcuno ha cambiato canale, pensando che tanto ciò che ha visto è lontano migliaia di chilometri quindi non lo riguarda, mentre qualcun altro ha provato un forte dolore e ha desiderato di fare qualcosa per aiutare quei disperati. Altri, come i ragazzi del gruppo RiFuGio hanno colto la complessità di quello che stava accadendo e hanno iniziato a farsi delle domande, a coltivare il desiderio di approfondire e di capire le cause profonde di quella tragedia.
Con questo obbiettivo, appena l'evoluzione della pandemia lo ha reso possibile, il gruppo ha organizzato l'evento "Ora l'Afghanistan?", tenutosi la sera di giovedì 10 febbraio nell'aula magna della scuola primaria Modesto Negri di Sirtori. Per apprendere e comprendere le cause profonde di eventi complessi non servono spiegazioni noiose di professoroni attempati o aule ipertecnologiche con la realtà aumentata ma basta un luogo dove trovarsi e giovani relatori appassionati. Certo, ci deve essere disponibilità all'ascolto e a sostenere la fatica dell'ascolto attento. Approfondire costa fatica.

I ragazzi di RiFuGio con gli ospiti e i rappresentanti delle istituzioni intervenuti alla serata

Quanto il pubblico avesse voglia di ascoltare si è capito nel momento in cui ha preso la parola il primo relatore, Gabriele Sirtori, redattore di Pandora Rivista e co - autore del libro "Il trono di sabbia - Stato, nazioni e potere in Medio Oriente". Tra le pareti arancioni dell'aula è calato un religioso silenzio. "Possiamo parlare degli aerei che decollano e delle persone che si aggrappano all'ultimo momento oppure recuperare i fili e affrontare tematiche di lungo respiro, le quali aiutano a capire meglio la cronaca che vediamo tutti i giorni" ha affermato il dottor Sirtori per poi continuare con un mezzo sorriso "io sono un po' vecchia scuola quindi partirò dalla geografia e dalla storia".
Avvalendosi di due semplici cartelloni, il redattore di Pandora Rivista ha innanzitutto evidenziato come l'Afghanistan sia costituito per la gran parte da montagne, cosa che rende molto difficili gli spostamenti, fatto salvo per le pianure in cui si coltiva l'oppio, attività molto redditizia per la popolazione locale. Dalla mappa si è poi passati alla linea del tempo: il dramma afgano affonda le sue radici negli anni 60 dell'Ottocento, quando i britannici tracciarono i confini di questo stato con l'intento di bloccare l'avanzata della Russia zarista verso l'India, la perla dell'impero. Da lì si arriva al 1979, anno dell'invasione sovietica, poi all'intervento statunitense post - 11 settembre, alle successive missioni ONU e infine al ritiro delle truppe straniere, deciso dagli statunitensi dopo gli accordi di Doha e frettolosamente organizzato, con la tragedia che ne è scaturita. Tessuto sociale frammentato, signori della guerra, instabilità, assenza dello stato, errori degli occidentali, più o meno superficialmente emergono molte delle facce di questo cubo di Rubik che è il contesto afgano. Una storia che riguarda anche noi, seduti nelle nostre case adagiate tra le colline della Brianza o affacciate su "quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno", e lo ha spiegato Emanuele Manzoni, assessore al Welfare del comune di Lecco. Il suo intenso intervento parte da una constatazione fondamentale:" era chiaro che noi come paese fossimo in parte responsabili del dramma di quelle persone e questo ha consentito l'attivazione di meccanismi di accoglienza veloci ed efficienti, a partire dai ponti aerei, e non delle solite dinamiche confuse". "Non appena è scoppiata la crisi" ha poi continuato l'assessore "noi come comune ci siamo mossi con l'esplicito intento di gestire l'accoglienza nel migliore dei modi, senza subirla. Di comune accordo con il prefetto abbiamo quindi attivato tutte le risorse necessarie, dalle associazioni alle fondazioni fino ai comuni della provincia che si sono resi disponibili ad accogliere alcuni nuclei familiari. Sul nostro territorio sono state accolte in tutto 44 persone".

Ad un certo punto uno spettatore ha alzato la mano per chiedere informazioni sul mestiere che queste persone svolgevano nel loro paese d'origine. A rispondere non è l'assessore ma un'altra spettatrice, Marzia Pagano dell'associazione il Gabbiano, impegnata in prima persona nelle operazioni di prima accoglienza dei sopravvissuti al dramma afgano giunti nel lecchese. La dottoressa Pagano ha spiegato come siano arrivati prevalentemente collaboratori del contingente italiano, tra cui un padre con il figlio che parla perfettamente la nostra lingua, i quali sono stati raggiunti solo in un secondo momento dalla famiglia. Complice anche l'indicazione delle autorità italiane secondo cui i cittadini afgani che avevano aiutato l'esercito italiano potevano imbarcarsi sui ponti aerei solo con parenti di primo grado, molte famiglie sono rimaste spaccate e chi riusciva ad arrivare prima in Italia rimaneva con la preoccupazione sulle sorti dei suoi parenti che erano rimasti indietro.

Così è partito il dibattito, alla presenza anche del capogruppo di maggioranza del Comune di Sirtori, Paolo Belletti e di Aziz Sawadogo del gruppo RiFuGio e consigliere di opposizione. Sono quasi le 23, fuori è notte fonda, il weekend di San Valentino si avvicina, eppure la platea desiderava completare quello che era stato avviato. Per apprendere e comprende le cause profonde di eventi complessi, non basta la fatica dell'ascolto attento, bisogna fare domande e aprirsi al confronto. Costa ancora più fatica dell'ascolto, perché obbliga a mettersi in gioco in prima persona. Nonostante questo, la successiva mezz'ora è scivolata tra quesiti sul perché i talebani sono riusciti a tornare così in fretta al potere, o su cosa gli occidentali avrebbero potuto fare per dare una stabilità a questo paese così geopoliticamente delicato, e interventi sulla possibilità che questa anomalia afgana inneschi un ripensamento più generale del sistema dell'accoglienza in Italia.
Autografandomi il suo libro su Aldo Moro dopo un incontro in università, Marco Damilano ha scritto "Un atomo di verità da cercare sempre". In un mondo sempre più interconnesso, ognuno sceglie la sua strada verso questo obbiettivo. In casi come questo, chi ha scelto il giornalismo ha poi l'onore di raccontare l'impegno e la passione di chi ha imboccato un'altra via. Sempre alla ricerca di quell'atomo di verità che, rendendoci più consapevoli, possa aiutarci in futuro a convincere quei tifosi delle conclusioni semplici che è meglio far fatica se non si vuole soccombere alla complessità del contesto in cui viviamo.
Andrea Besati
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