Costa: le testimonianze delle famiglie che hanno ospitato i bambini ucraini

Racconti di semplicità, determinazione, sorrisi e forte attaccamento alla patria, che emerge in maniera chiara davanti all'evento storico che li coinvolge in prima persona. I ragazzi ucraini ospitati dalle famiglie di Costa Masnaga per le vacanze terapeutiche hanno lasciato un legame profondo tanto che oggi, giorni in cui questo popolo sta subendo l'invasione russa, sono ripresi i contatti in maniera fitta tra l'Italia e il paese dell'Est Europa. Quei bambini che un tempo giocavano nel giardino di casa oggi sono a loro volta genitori, spesso con una buona professione e un'indipendenza che permetteva loro di condurre una vita serena nella loro terra. Una terra che da oltre dieci giorni ha cambiato i colori, convive con nuovi e fastidiosi rumori e ha il sapore della paura.

Da sinistra il sindaco Sabina Panzeri, Armando Crippa e l'assessore Anna Cazzaniga

La serata di lunedì 7 marzo, promossa dall'amministrazione comunale di Costa Masnaga, è stata ricca di testimonianze molto forti, tutte accomunate dalla preoccupazione per i civili che si trovano a fare i conti con la guerra e la distruzione, con un evento inaspettato e terribile.
"Abbiamo accolto per anni questi ragazzi: ora siamo frastornarti e inebetiti - ha detto l'assessore all'istruzione Anna Cazzaniga che per anni ha ospitato i bambini ucraini - Pensavamo di affrontare altre difficoltà per il loro futuro, di tipo economico per le situazioni di estrema povertà - i primi bambini che venivano qui non sapevano cosa fosse il bagno - e invece la situazione è ancor più tragica. Molti hanno ripreso le conversazioni e anche io sono in contatto con la ragazza che è venuta da noi: ci racconta che mangia la zuppa con le carote ma l'acqua è scarsa. Lei prima abitava in città e qui era riuscita a costruirsi una famiglia. Adesso sono tutti scappati nella casa della nonna in campagna, però non hanno niente da mangiare. Per noi davanti alla guerra non conta più nient'altro, solo cercare di far arrivare loro degli aiuti".

La bambina che Beatrice ha accolto per tanti anni a casa, è arrivata per la prima volta a 6 anni con una valigia contenente un cambio di mutante, un fazzoletto e piccole mele. "Nei 12 anni in cui è venuta da noi non ha mai pianto una volta - racconta - Julia si è costruita una posizione con grande determinazione, a costo di fatica e sacrifici: ha studiato e conosce quattro lingue. Lavorava a Kiev per un'agenzia di viaggi e andava a testare gli hotel in giro per il mondo. A scuola andava a piedi, camminando per 20 chilometri tra andare e tornare e non si è mai lamentata di niente. Si è costruita una posizione che con orgoglio difende". Julia, due giorni dopo l'invasione, ha lasciato Kiev insieme alle due sorelle per raggiungere la parte sud occidentale vicino al confine rumeno, ma da qualche tempo non hanno notizie del papà. "L'ultima volta l'abbiamo vista sul treno, mentre andava nel sud. Era un treno affollato, che viaggiava a luci spente e sul quale era impossibile parlare. Lei ha manifestato la sua grande dignità, rassicurando noi che le dicevamo di essere qui ad aspettarla. Non ne vuole sapere di andarsene perché quella è la sua casa. Ci ha scritto: "non sai com'è difficile prendere e buttare tutto" e per lei questo "tutto" è una vita intera. La nostra posizione può essere di vicinanza nella speranza possano essere salve e in sicurezza".

Grazia ha ospitato, nel corso degli anni, diversi bambini. Anastasia, una delle prime bambine ad arrivare a Costa Masnaga, oggi è madre di un figlio di 4 anni: "Quando è arrivata conosceva già un po' di italiano perché i nonni avevano deciso di mandarla a fare un viaggio in Italia dove aveva fatto lezioni di italiano. Hanno bombardato il suo appartamento che non c'è più: la nonna e la zia vivono in una cantina. Ora ha raggiunto un'amica in campagna, in un villaggio e domenica piangeva perché hanno ucciso un bambino suo compagno di classe. In questi giorni è in Ungheria: mi ha detto che è pieno di profughi ucraini. Vorrebbe portare qui la nonna e la zia, ma dalla città non si può uscire: le luci sono spente, poche medicine e poco cibo. Maxim, l'altro nostro ragazzo, sappiamo che è in ospedale ma non abbiamo notizie. I primi anni in cui arrivavano in Italia, facevamo un saggio musicale a scuola e facevamo momenti di festa con i bambini. Faccio fatica ad accettare che i nostri bambini, che abbiamo ospitato per dare loro un futuro migliore, siano in quella situazione: questo ci sconvolge perchè i nostri intenti erano altri".
La storia di Sara è molto toccante: lei e la sua famiglia, genitori e fratello, hanno accolta per anni Vittoria, facendola crescere come una figlia. Quando i vincoli legati all'accoglienza dei bambini - il raggiungimento della maggiore età - le hanno impedito di venire in Italia per il soggiorno terapeutico, Sara, in attesa della secondogenita e nonostante alcuni problemi di salute che in quel momento stava affrontando, è partita con il marito e l'altra figlia per raggiungere Kiev dove la ragazza viveva. "Insieme a lei, abbiamo raggiunto il villaggio della nonna chiedendole la possibilità di stare con noi ed essere nostra figlia".

Vittoria è arrivata a Costa nel gennaio 2020, poco prima dello scoppio della pandemia e vive in Italia da ormai 13 mesi grazie a un permesso studio: "Lei era qui con noi quando tutto è cominciato e ha negato tutto fino alla fine perchè credo che nessuno si aspettava quest'esito. Io ho un'amica russa, Olga, che pone motivazioni storiche e politiche, ma tutte ci incontriamo sulle motivazioni umanitarie che questa guerra trascina con sé. Viviamo oggi informazioni vicinissime: la sorella dì Vittoria vive nella cantina con un'amica ma non è riuscita a raggiungere la nonna che è nel villaggio dove c'è il cibo ma passano in continuazione carri armati. Hanno occupato le case vicine e c'è una grande spirale di odio. Stanno armando tutti: queste armi, consegnate a chi non le sa usare, rimarranno in giro e io sono spaventata dal sottobosco della guerra che rimarrà in termini pratici e culturali. Vittoria ha detto che bisogna trovare un modo per mandarla in Ucraina perché lei vuole essere lì. Cerchiamo di farle capire che in futuro potrà essere una fonte importante di sostentamento economico, ma è difficile: stiamo vivendo dieci giorni di totale sospensione. Lei è qui e sta bene ma è una situazione molto delicata da tutti i punti di vista".
C'è stato anche il punto di vista di un compagno di gioco dei bambini ucraini: Mattia è legato all'Ucraina sin dalla prima ospitalità fatta dai genitori, quando lui aveva otto anni. Da cinque anni, però, la Russia occupa una parte importante della sua vita perché la moglie è moscovita. "Per me questa situazione è complessa da vivere. La situazione umanitaria che si sta creando è impensabile nel XXI secolo: le conseguenze che la guerra potrà avere sui bambini sono potenzialmente molto pesanti. Sono grato all'associazione Cassago Chiama Chenobyl per gli sforzi che sta mettendo in atto per alleggerire la situazione in Ucraina".

La parola è poi passata ad Armando Crippa che, durante i racconti, non è riuscito a trattenere le lacrime, del resto come gli stessi narratori. "Mi è difficile essere qui con i bei ricordi di quando spiegavo i primi progetti, conoscevo le famiglie curiose di vivere quest'esperienza. Invece oggi tanti mi chiedono come poter portare i bambini. Purtroppo non abbiamo più contatti con la fondazione pro infanzia di Chernigov in questo momento, ma se le famiglie riescono a raggiungere la Polonia abbiamo una strada per poter far arrivare le persone sul nostro territorio".
Cassago Chiama Chernobyl, in tanti anni di attività non si è risparmiata per aiutare gli ucraini nel loro paese: sono stati sostenuti lavori per ristrutturare le scuole dotandole di servizi igienici e cucine, consegnate le attrezzature alle scuole professionali e avviato il discorso sanitario. Inoltre, in ambito sanitario, sono stati consegnati 700 letti di degenza all'ospedale di Chernigov, 30 letti per dialisi, un mammografo e un attrezzo per l'ecografia. Sono state poi portate diverse ambulanze, in Italia ormai destinate a dismissione.

"In questi giorni siamo partiti con la nostra voglia di fare avviando la raccolta: è stata un successo ma ci ha messo in affanno. I primi tre tir con alimenti, di 47 tonnellate, sono partiti da Lecco, dove abbiamo a stock altri due carichi pieni" ha aggiunto, descrivendo tutti i punti sul territorio dove sono stoccati i beni di prima necessità raccolti. "Dopo l'emergenza della colletta, vorremmo aprire un conto corrente abbinandolo a un'associazione ma anche a una testata giornalistica e pensare al futuro. Con le risorse raccolte, vorremmo ricostruire una struttura pubblica che è stata distrutta a Chenigov. É un altro modo per far sentire la nostra vicinanza. Vorremmo pensare anche a dopo quest'emergenza".
Le parole del sindaco Sabina Panzeri hanno chiuso la serata. "Ringrazio le persone che hanno voluto condividere un pezzo della loro storia. Credo sia importante non fermare la solidarietà. Abbiamo un'ondata di solidarietà importante, ma dobbiamo essere pronti ad accogliere i profughi. Ho spesso incontri con la Prefettura: è una situazione in divenire, che cambia di ora in ora. Da 70 profughi che si sono registrati ieri, oggi il numero è cambiato. Si tratta di un'accoglienza temporanea ma che sappiamo durerà anni: dobbiamo essere pronti ad accoglierli ridando loro la dignità. Chi accoglie un ucraino, deve segnalare la presenza al comune di residenza. Abbiamo lanciato un fondo che servirà per la prima accoglienza dei profughi sul territorio in termini di alloggi, ma anche di vita. È importante accogliere loro in sicurezza sia dal punto di vista del Covid (solo il 35% delle persone ha le vaccinazioni) che delle altre vaccinazioni infantili. Ci sarà tutto il tema dell'aspetto sanitario di cui dovremo occuparci. Sul sito del comune ci sono indicazioni per chi vuole mettere a disposizione alloggi e altri sistemi di accoglienza temporanea con l'obiettivo di inserirli in accoglienza più ampia".

M.Mau.
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