Barzago: Yulia racconta la drammatica fuga con il figlio dopo i bombardamenti in Ucraina. 'Le ore più difficili della mia vita'

''Mi chiamo Yulia, ho 40 anni e un figlio di nove. Sono laureata e lavoro come sales manager in un'agenzia di viaggio. Vivo nella zona sud di Kiev, a 30 minuti di auto dal centro''. È iniziata così, come una normale conversazione tra due persone, mentre Lilliana Rossini preparava il caffè e il cielo fuori si faceva più scuro. Ma quella che si è tenuta nel salotto di un appartamento di Barzago non è stata una conversazione come le altre: Yulia ci ha donato la sua storia, il suo dolore, la sua forza e non potremo mai ringraziarla abbastanza per questo.

Yulia (a sinistra) con Liliana Rossini

''Della mia vita a Kiev mi manca tutto. Mi mancano gli amici, sono molto legata a loro. Mi mancano mia madre e la mia famiglia, anche se non abbiamo una relazione perfetta. Mi manca la cucina ucraina'' ha raccontato Yulia con gli occhi lucidi. ''Ho iniziato a viaggiare quando ho iniziato a lavorare nell'agenzia ma non ho mai sognato di vivere in un altro paese. In questa stagione primaverile poi Kiev è veramente meravigliosa, i parchi si colorano di un verde acceso. Ma io sono qui, in Italia. Ho sempre considerato l'Italia il mio paese preferito dal punto di vista turistico. Oggi penso solo a quanto sia fortunata ad essere qui. Tante persone stanno morendo in Ucraina ora. Per cosa? Per cosa?''.
Per cosa? La domanda è risuonata nella stanza per interminabili minuti mentre sorseggiavamo il caffè con Liliana Rossini riprendendo fiato. Una pausa breve, giusto il tempo di un sorriso, quello con cui Yulia ha sottolineato di non avere l'abitudine di bere caffè.
''Alla fine di gennaio si è sparsa la voce che i russi avrebbero potuto attaccare e ho iniziato a preoccuparmi. Il 6 febbraio ho fatto un sogno: la guerra era iniziata, ero scappata con mio figlio in treno fino al confine ma non mi facevano passare perché non avevo i documenti necessari per il bambino. Quando mi sono svegliata ho chiamato il mio ex marito e gli ho chiesto di firmare rapidamente i moduli necessari. Lui mi ha detto che ero pazza, che la guerra non sarebbe iniziata. Ho insistito, sapevo di avere amici in Italia quindi avevo deciso che sarei scappata se i russi ci avessero invaso''.

Sullo sfondo la Chiesa di tutti i Santi a Kiev Pechersk lavra a Kiev

La pioggia ha iniziato a battere sulle finestre, dando ritmo alla tensione del racconto. ''Dal 15 febbraio ho smesso di dormire. Fino all'ora di pranzo guardavo fuori dalla finestra della mia casa, a pochi minuti dall'aeroporto Kiev-Žuljany. Si diceva che la guerra sarebbe iniziata di notte e avrebbero attaccato innanzitutto gli aeroporti. Solo verso l'ora di pranzo mi tranquillizzavo e non guardavo più fuori dalla finestra continuamente. Ho smesso di stare lontano da mio figlio. La mia famiglia e molte delle persone che conosco non credevano che i russi avrebbero attaccato''.
Nessuno credeva che la guerra sarebbe iniziata, lo ha ripetuto più volte Yulia. Credere o meno ad un presentimento ha fatto la differenza tra vedere o meno le bombe cadere sulla propria testa, tra la vita e la morte. Il pensiero fa venire i brividi.
''Una delle mie migliori amiche, però, era d'accordo con me e mi ha proposto di spostarci nell'ovest del paese. Così avrei potuto rilassarmi e dormire. Gli esperti militari dicevano che, anche qualora l'esercito di Putin avesse attaccato, avrebbe puntato al Donbass e Kiev non sarebbe stata coinvolta. Per questo abbiamo riempito le valigie con i vestiti necessari per una sola settimana. Il 19 febbraio siamo partiti in macchina. Eravamo io, mio figlio, la mia amica e sua figlia. Siamo arrivati a Berehove, a sette chilometri dal confine ungherese, dove abbiamo preso in affitto un appartamento. Il 23 siamo partiti per Budapest, distante circa 300 chilometri. Volevamo solo fare un giro di un giorno per vedere una città in cui la mia compagna di viaggio non era mai stata e comprare del cibo. Alle tre di notte eravamo di nuovo in territorio ucraino. Prima di addormentarmi, ho spento il telefono perché i miei amici di solito iniziano a scrivermi la mattina presto''.

A sinistra il quartiere di Voznesensk

Di nuovo, Yulia ha sorriso solo per un attimo, il tempo che impiega un missile Grad ad abbattersi sul territorio ucraino. È il 24 febbraio, il giorno dell'invasione. ''Alle 5.30 Alina ha aperto la porta della mia camera e piangendo ha gridato: Yulia, Yulia ci stanno bombardando. Vedevo che non stava scherzando perché piangeva a dirotto. Abbiamo iniziato a urlare entrambe. Sono svenuta. Alina mi ha scosso dicendomi, veloce, dobbiamo prendere i vestiti e andare a Budapest. Dobbiamo andare a Budapest. Non sapevano cosa stessero bombardando quindi ho chiamato i miei genitori per capire se fossero ancora vivi. Mia madre piangendo ha urlato nella cornetta: Yulia, per favore, vattene velocemente. Stanno bombardando Kiev. Per favore, scappa. Poi mi ha detto che erano tutti vivi, stavano preparando le valigie e sarebbero scappati nella nostra casa in campagna, a un centinaio di chilometri dalla capitale. Le ho detto di scrivermi quando sarebbero arrivati''.
Confusione, urla, pianti, preoccupazione, incertezza. Le parole di Yulia erano pietre. Ma non era finita. ''Poi ci siamo seduti in macchina. Ho chiamato il proprietario dell'appartamento. Ha detto che sapeva dei bombardamenti, non aveva dormito e sarebbe arrivato in cinque minuti. Mi è sembrato un tempo lunghissimo, ci potevano bombardare. Potevano colpire dappertutto. Siamo corsi verso il vicino confine ungherese ma quando siamo arrivati la coda alla frontiera era già lunghissima. Le guardie impedivano agli ucraini di attraversare il confine. Stavano aspettando le istruzioni del governo''.

Statua della Madre Patria

Chiediamo di ripetere perché non ci è chiaro. Istruzioni del governo? Che istruzioni servono per accogliere persone che scappano dalla guerra?
''Dopo poche ore, finalmente ci hanno fatto passare ma ci hanno controllato ogni bagaglio. Superata la frontiera Alina mi ha detto che non era in grado di guidare per trecento chilometri. Era troppo stanca. Io però non ho la patente. Le ho chiesto di essere forte e dare fondo alle energie rimaste. Di farlo per i bambini. È riuscita a guidare per un centinaio di chilometri fino a Debrecen, dove abbiamo dormito quella notte. Ho chiamato i miei amici per sapere se fossero vivi. Sono state le ore più difficili della mia vita. Non capivo cosa stesse succedendo. Non sapevo se stessi lasciando il mio paese per sempre, se avrei rivisto i miei amici, la mia famiglia. Se Kiev fosse caduta sotto controllo russo non sarei mai tornata. Non smettevamo di piangere. Mio figlio cercava di calmarmi. Alla fine, ho capito che dovevo essere forte per lui perché era più spaventato di me. Il giorno dopo siamo andati a Budapest''.
Improvvisamente è entrato il bambino. Superata a fatica la timidezza ha fatto un cenno di saluto, ma non è stato facile rispondergli. Le parole di sua madre lasciavano senza fiato. Il pensiero di cosa quel bambino ha vissuto ci sconvolgeva. Il racconto di Yulia è quindi proseguito molto velocemente. Mentre la sua amica si è recata in Turchia lei è rimasta a Budapest fino al 5 marzo, quando il governo ha eliminato le restrizioni di viaggio per il Covid - 19 che impedivano agli ucraini di entrare nel nostro paese.

''In Ungheria non hanno controllato alcunché. Nonostante avessi compilato tutti i documenti, ero terrorizzata dalla possibilità che, una volta arrivati a Milano, ci rimandassero indietro. Invece mi hanno chiesto solo se avessi un posto dove andare'' ha spiegato Yulia. Dopo un mese a Trezzano, la chiamata del suo capo che la ha indirizzata da un contatto di lavoro di suo marito, ovvero Liliana Rossini.
Domenica 27 marzo Yulia e suo figlio sono arrivati a Barzago. ''La mia famiglia sta bene. Quando, dopo che i russi hanno abbandonato le periferie della capitale. I soldati hanno reso di nuovo agibile la strada distrutta dalle bombe, i miei genitori e mio fratello sono riusciti anche a tornare a Kiev. Poi però, durante una notte in cui era in vigore il coprifuoco, hanno bombardato una edificio a dieci minuti da casa nostra. Appena hanno potuto, sono scappati di nuovo'' ha raccontato Yulia. Poi un aneddoto. ''La moglie di mio fratello è russa e vive a San Pietroburgo. L'ho sempre considerata una persona per bene ed educata. Ma lei non crede a quello che sta succedendo. Non crede alle foto di Mariupol, ai video che gli ho inviato. Per me è inconcepibile''.

Khreschatyk, la strada principale di Kiev

Mentre l'intervista sta volgendo al termine chiediamo quali siano le sue intenzioni per il futuro. Yulia ha respirato profondamente e poi, con tono forte e fiero, ha scolpito parole che hanno lasciato il segno.
''Vinceremo la guerra, ne sono certa. I capi di governo occidentali hanno iniziato a venire in Ucraina, a vedere cosa hanno fatto i russi a Bucha e a Irpin. Con le armi occidentali noi vinceremo la guerra, spero entro l'autunno. Spero anche che Putin venga giudicato per i crimini che ha commesso. Al di là di questo, appena diminuiranno i bombardamenti tornerò a casa. Vorrei rientrare a giugno''.
Non c'è altro da dire. Abbiamo ringraziato di cuore Yulia e Lilliana, salutandole. Consapevoli di aver imparato tanto, di aver toccato con mano cosa può fare la storia sulla vita delle persone. Consapevoli anche che questa testimonianza è solo un tassello, una tra milioni. Tutte storie uniche che meriterebbero di essere raccontate.
Andrea Besati
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