Villa Greppi: con il racconto di Marina Lalovic si chiude la rassegna "La guerra in casa"

"Sono partita perché non volevo più essere succube della Storia". Eppure, nonostante il peso della Storia, il legame tra Marina Lalovic e la sua città natale, Belgrado, non si è mai spezzato. I ricordi sono rimasti intatti, tesori custoditi con cura contro le avversità della vita in un paese straniero. Fino a che, dopo vent'anni, si è presentata l'opportunità di dare a quei ricordi una nuova forma, di donare quelle immagini, quei suoni e quegli odori a tutti. Ne è nato prima il podcast "Partire. Restare. Tornare", disponibile su Rai Play Sound e poi un libro, intitolato "La Cicala di Belgrado" e pubblicato da Bottega Errante Edizioni.

Marina Lalovic

Di quel testo, viaggio tra le vie della Belgrado degli anni Novanta, Marina Lalovic ha discusso con Daniele Frisco in occasione del penultimo evento della rassegna "1992 - 2022. La guerra in casa" organizzata dal Consorzio Brianteo Villa Greppi in occasione dei trent'anni dall'assedio di Sarajevo. "L'anima di Belgrado sopravvive nonostante i continui cambiamenti. Sopravvive nelle vecchie kafane, osterie aperte sin dagli anni Sessanta dove il tempo scorre in modo diverso. Luoghi in cui non solo si cena ma si balla e si canta tutti insieme" ha raccontato la giornalista, oggi membro della redazione esteri di Rainews24. "Belgrado è stata per secoli il confine tra due imperi, quello austroungarico e quello ottomano. L'incontro tra queste culture ha modellato la città. Ancora oggi, accanto al nuovo centro città finanziato dagli arabi, convivono Zem, un quartiere che sembra Budapest, e la grande fortezza ottomana".

Marta Comi, vicepresidente di Villa Greppi

Una convivenza pacifica che, negli anni Novanta, riguardava solo le eredità di mondi ormai lontani, non le persone. La città era spaccata tra nazionalisti e non - nazionalisti. "Nella Belgrado dell'epoca la resistenza assumeva molte forme. Indossare i jeans in un determinato modo, andare in certi bar, ascoltare una certa musica, tutto rappresentava resistenza in quel periodo. La musica ha avuto un ruolo enorme, è stata la colonna sonora della guerra. Chi voleva sfidare il regime ascoltava B92, l'unica radio indipendente" ha ricordato Marina Lalovic, all'epoca adolescente "Tra il 1996 e il 1998 soprattutto i movimenti studenteschi hanno protestato attivamente. Si sfilava per kilometri contro il regime. Alle 19.30 ci si affacciava alle finestre e si iniziava a fare rumore con le pentole per zittire l'edizione principale del telegiornale della tv di stato, in cui si raccontavano solo menzogne".

Una resistenza animata dai giovani, con il loro entusiasmo, la loro voglia di combattere per ciò in cui credono. Quella stessa generazione, però, nutriva anche dubbi, sviluppava riflessioni ed era costretta a compiere scelte radicali. "Durante i miei anni di liceo non c'erano vie di mezzo: da un lato quelli che volevo partire, dall'altro lato quelli che volevano restare. Partire però non era semplice e non solo perché con le sanzioni avevamo perso l'illimitata libertà di movimento di cui avevamo goduto per anni, data la collocazione geopolitica della Jugoslavia tra i non allineati. Non era semplice perché ci si chiedeva se la scelta di partire rappresentasse un tradimento, anche se non era chiaro cosa si stava tradendo" ha raccontato la collaboratrice di Radio3. Marina Lalovic ha quindi accennato ad una speranza che aveva la forma di una bandiera blu con al centro un cerchio di dodici stelle dorate. "Noi che protestavamo contro Milosevic volevamo far parte dell'Unione Europea. Pur sapendo che erano legati alla pulizia etnica iniziata dal regime in Kossovo, quando sono stati avviati i bombardamenti nel 1999 ci siamo sentiti traditi".

Parlando dei bombardamenti, tra i riccioli marroni della giornalista è comparso un sorriso amaro. "All'epoca avevo 17 anni. Quando non era soffocata dal coprifuoco, in città c'era un'atmosfera carnevalesca. Le scuole erano chiuse, le strade erano piene di gente, si organizzavano concerti gratuiti nei teatri. Era un tentativo di ricreare una sorta normalità ma anche un modo per vivere al massimo ogni giorno, dato che nessuno sapeva cosa avrebbe riservato quello successivo" ha ricordato la dottoressa Lalovic. Superati i 78 giorni di bombardamenti della NATO, ecco la maturità e poi la scelta di partire verso l'Italia. "Ciò che ricordo dei primi mesi presso l'università per stranieri di Perugia è il contatto con croati, bosniaci, albanesi, kossovari. Sentire questi accenti è stato uno shock sia per me sia per loro. Non si viaggiava molto all'interno della Jugoslavia. Una mia compagna di classe di Zagabria la prima volta che mi ha ascoltato parlare mi ha detto in faccia che non riusciva a sopportare il mio accento" ha sottolineato la giornalista.

Daniele Frisco

Ma che cosa è la Serbia oggi? "Oggi la Serbia è un paese che rimpiange i tempi migliori, gli anni Settanta e Ottanta. È un paese seduto sulla solita strana forma di non allineamento, motivo per cui i principali investitori esteri sono gli europei mentre la quasi totalità del gas è in mano a Gazprom" ha spiegato Marina Lalovic con un tono di voce sempre più grave "La società serba è polarizzata e lo dimostrano i continui sfregi, sempre prontamente corretti, a quei graffiti pro - Russia che decorano alcuni edifici della capitale. Ma soprattutto, in Serbia, come in Croazia e in Slovenia, è strisciante la paura di scomparire. Quella regione si è svuotata di intere generazioni. Il problema demografico è fondamentale per i Balcani come anche per i paesi di Visegrad".

Frustrazione, tensione, paura, terreno fertile per i nazionalismi che infatti dilagano anche nei paesi membri della comunità europea. Forse sarebbe ora che a Bruxelles smettano di essere succubi della storia ed inizino ad agire.
Andrea Besati
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