Molteno: Giusi Corti ricostruisce la storia del padre Giuseppe, internato in un lager durante la guerra

Nella mattinata di ieri una medaglia d'onore per l'internamento in un campo di lavoro nazista, dal 1943 al 1945, è stata assegnata, tra i 24 cittadini deportati, anche al milite Giuseppe Corti, nato nel 1919 e venuto a mancare nel 2004. La cerimonia, che si è svolta all'Auditorium della Casa dell'Economia di Lecco, ha visto la presenza del prefetto Sergio Pomponio, delle autorità cittadine e dei sindaci dei comuni ove risiedevano i premiati, tra cui appunto il primo cittadino di Molteno Giuseppe Chiarella.

La medaglia d'onore concessa dal presidente della Repubblica, su proposta della presidenza del consiglio dei Ministri, è stata ritirata dalle figlie di Giuseppe, Ermanna e Giuseppina Corti, quest'ultima nota in paese per il suo attivismo politico.
Giuseppe nacque a Molteno, in una famiglia contadina e la chiamata alla leva arrivò quando aveva 21 anni, nel 1940. Dopo l'addestramento presso la caserma di Piazza Garibaldi a Milano, partì per la campagna di Grecia con il settimo reggimento Fanteria Cuneo.

"Da qui in poi, ho cercato di ricostruire la sua epopea attraverso le poche e frammentarie notizie e i documenti che ho ritrovato e che allego, perché mio padre raccontò molto poco degli anni di guerra e di prigionia - racconta la figlia Giusi - Certo che, come lui spesso diceva, partito a vent'anni e tornato sei anni dopo, la guerra gli aveva rubato gli anni migliori".
Combatté sui monti d'Albania, resistendo a freddo, pioggia e neve. "Quando, attraverso il canale di Corinto, raggiunse la Grecia e la compagnia occupò l'isola di Sira, nelle Cicladi, gli parve di arrivare in paradiso - prosegue la figlia - A sua detta, nonostante i disagi, il poco vitto, le zecche e le pulci, i quasi due anni trascorsi sull'isola furono un bel lungo periodo di ozi. Ricordava con piacere quella vita di vacanza, nulla da fare tranne l'alza e l'ammaina bandiera quotidiane".

Il 18 settembre 1943 furono catturati dall'esercito tedesco, caricati sui carri bestiame e trasferiti in Germania. "Nessuno di loro, affamati ed infreddoliti, conosceva la destinazione di quel lungo viaggio durato settimane attraverso l'Europa. Per sopravvivere mio padre aveva dato fondo a tutti i suoi averi e barattato col cibo gli ultimi oggetti alla stazione di Budapest".
Una volta arrivati in Germania i prigionieri furono smistati nei lager e Giuseppe, diventato il numero 47234, venne assegnato nello Stammlager VIG di Bonn am Rhein e nel lager Pleistal di Birlinghoven ueberSiegburg. "Poco o nulla ci raccontò di quella tremenda prigionia, fatta di fame, freddo e di lavoro obbligatorio. In alcuni rarissime confessioni ci disse che per alcuni mesi aveva lavorato per l'industria tedesca, in una fornace, (Pleistalwerk?) e che successivamente, e per sua fortuna, fu trasferito ai lavori agricoli presso una fattoria, da cui rientrava al lager ogni sera. Una vera fortuna perché poteva arrangiarsi e arrotondare lo scarsissimo rancio con ciò che riusciva a trovare nei campi e con gli scarti della cucina. Le bucce di patate lessate erano una vera leccornia. I turni di lavoro sia in fornace che nei campi erano pesantissimi, non c'era riposo domenicale, e ovviamente il lavoro non era retribuito. Vestiva con ciò che restava della divisa militare, ogni tanto poteva scrivere e poteva ricevere lettere da casa, che ha gelosamente conservato fino alla sua morte".

Alla liberazione del campo i prigionieri passarono sotto gli inglesi e i russi, prima di prendere la via di casa, che non segnò ancora la fine di questi difficili anni. "Non fu facile, vissero da sbandati per diversi mesi, cercando di avvicinarsi all'Italia con ogni mezzo, a piedi, sulle strade di campagna, attraverso i boschi e i campi per evitare il più possibile i centri abitati per timore di rappresaglie". Giuseppe riuscì ad attraversare in treno il confine del Brennero, scendendo a Verona. Raggiunse quindi Milano e infine Molteno. "Era il 9 settembre 1945, aveva quasi 26 anni, magro da far spavento, vestito di stracci. Dalla vergogna non voleva uscire dalla stazione e pregò un conoscente di andare a chiamare suo padre Ermanno, che lo venisse a prendere con il carretto. Finalmente a casa".

Insieme a lui nell'auditorium della casa dell'economia, hanno ricevuto la medaglia d'onore altri 23 cittadini lecchesi.
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