Missaglia: in una sala gremita, il prof.Flores analizza le origini del fascismo
''Spero di riuscire a raccontarvi qualcosa che ancora non sapete sul fascismo''. Ha sorriso Marcello Flores, chiaramente felice, così come Daniele Frisco che era seduto accanto a lui, della presenza di così tanto pubblico. La sala civica Teodolinda di Missaglia, infatti, era piena fino all'ultimo posto disponibile e oltre. In tanti erano accorsi per ascoltare il professore, docente di Storia Contemporanea all'università di Siena, in occasione del primo dei tre incontri sui cento anni dalla Marcia su Roma organizzati dal Consorzio Brianteo Villa Greppi.
Danielo Frisco (a sinistra) e Marcello Flores
Dopo i saluti di Donatella Diacci, vicesindaco di Missaglia, e di Lucia Urbano, membro del consiglio di amministrazione del consorzio, ha preso la parola proprio Marcello Flores, sollecitato dalle domande del dottor Frisco, curatore della rassegna. "Il fascismo è figlio della degenerazione del Risorgimento avvenuta nella destra liberale, della partecipazione alla guerra e dell'incapacità di ricostruire una democrazia più forte di prima dopo il conflitto" ha esordito il professore. Nella sua analisi, Flores ha ripercorso i passaggi fondamentali del libro "Perché il fascismo è nato in Italia?", edito da Laterza e scritto assieme a Giovanni Gozzini. "Come ha ricordato lo storico George Moss, la Prima guerra mondiale ha lasciato un'eredità di brutalizzazione in tutte le società europee. In Italia questa brutalizzazione si è confrontata con delle istituzioni democratiche deboli. L'eredità di violenza della guerra è emersa soprattutto sul piano politico" ha proseguito il professore. Sono stati poi forniti dei numeri: nel 1920 ci furono 451 morti per motivi politici, 294 di questi furono frutto delle violenze delle autorità contro la sinistra; nel 1921 i morti salirono a 761 vittime, 461 di questi furono causate dai fascisti contro la sinistra. "Nel 1921 lo stato ha ceduto il monopolio della violenza alle squadracce fasciste. Per vicinanza ideologica, le autorità di pubblica sicurezza, come i Carabinieri o l'Esercito, non consideravano l'illegalità del fascismo davvero illegale" ha commentato Marcello Flores.
Aggressioni, quelle dei fascisti, che hanno delle specifiche caratteristiche. "Le violenze fasciste sono violenze di gruppo. Sono squadre di 30, 40, 50 fascisti che arrivano con i camion, individuano la casa dei contadini o dei sindacalisti, li prendono, li picchiano ferocemente o danno loro l'olio di ricino. A volte li ammazzano" ha spiegato il docente padovano. "Le violenze dei socialisti sono diverse. Sono o forme di difesa dalle aggressioni degli squadristi, come Emilio Lussu che a Sassari uccide un fascista che stava per irrompere in casa sua, o azioni mirate. Si va a cercare il caposquadra fascista sul posto di lavoro". La massima espressione del modus operandi delle camicie nere si registrò alla fine dell'ottobre 1922, nei giorni della marcia su Roma. "Le squadracce che in quei giorni marciarono su Roma erano totalmente disorganizzate. Si muovevano in mezzo al fango, non avevano da mangiare. Allo stesso tempo, in quel frangente i fascisti occuparono decine di città italiane. Gruppi di migliaia di persone presero possesso dei centri nevralgici delle comunità, come le poste o i comuni, senza che le forze dell'ordine o la popolazione reagissero" ha proseguito Marcello Flores. "Le testimonianze inviate dai prefetti a Roma in quei giorni, comunque, raccontano di come le autorità, anche se lo avessero voluto, non avrebbero avuto uomini sufficienti per contrastare ciò che stava accadendo. L'unico prefetto che cercò di rispondere fu Cesare Mori a Bologna. Appena i fascisti presero il potere, Mori fu spostato in Sicilia a combattere la mafia".
Lucia Urbano del Consorzio Villa Greppi
Una presa di potere che, nonostante tutto, non avvenne in modo veramente violento grazie all'abilità strategica di Benito Mussolini. "Mussolini non era privo di cultura politica come fu invece Hitler. Ha diretto lotte popolari, ha portato l'Avanti a raddoppiare le vendite nel giro di pochi anni. Intuisce perfettamente gli umori del popolo" ha sottolineato il professore dell'università di Siena. Il grido che proveniva dalla pancia del popolo italiano in quegli anni era molto chiaro. ''Le squadre di Balbo e Farinacci erano composte da disoccupati e sbandati sociali, attratti dalle paghe offerte dagli agrari per contrastare gli scioperi. C'erano poi tanti studenti, giovani che credevano di partecipare alla costruzione di un'Italia più grande e forte'' ha argomentato Marcello Flores. ''Accanto a questo, Mussolini è abilissimo nel giocare sulla paura della rivoluzione che gli italiani percepivano. Una paura falsa, tanto è vero che l'occupazione delle fabbriche del settembre 1920 termina non appena Giolitti convince gli industriali a concedere agli operai quello che vogliono. Su questo sentimento, però, soffiano anche i liberali, i nazionalisti, i possidenti agrari, gli stessi socialisti".
A questo punto Daniele Frisco ha rilanciato con una domanda sul cuore dell'intera analisi, nonché del libro di cui il professore è coautore. "Nel testo utilizzate il termine sfarinamento. Ci può spiegare cosa significa? E come è possibile che solo Mussolini percepisca davvero questo sfarinamento?''. Marcello Flores ha preso fiato per un attimo prima di rispondere, consapevole di essere arrivato al passaggio fondamentale del discorso. "Il termine sfarinamento si riferisce alle istituzioni dello stato. Non riescono più ad essere determinanti. Alcune iniziano a collaborare con il fascismo, altre, come la magistratura e la polizia, rimangono ferme in attesa degli eventi. Altri ancora, come i liberali, i socialisti e gran parte dei comunisti credono che il fascismo si svuoterà da solo. Nel 1921 Giolitti accoglie Mussolini nelle sue liste elettorali con l'idea di poter limitare la violenza delle squadracce, comunque considerata non pericolosa".
Non appena Daniele Frisco ha aperto lo spazio delle domande dal pubblico, si sono alzate diverse mani. D'un tratto, dopo che il professor Flores aveva risposto sul ruolo di D'Annunzio e sul rapporto tra Mussolini e il clero, un signore di fianco a noi si è alzato e ha iniziato a riflettere sull'atteggiamento della sinistra in quel frangente, definito squallido. ''Nel 1921 Togliatti scrive che i nemici del partito comunista sono nell'ordine Turati, don Sturzo, Giolitti e Mussolini. Le elezioni del 1919 sono vinte dai socialisti e dai popolari. Se invece di litigare avessero formato un governo forte, il fascismo probabilmente non avrebbe mai preso il potere. In generale la sinistra ha cercato di adattare la realtà alle proprie convinzioni ideologiche e politiche piuttosto che fare il contrario''. La sinistra ha cercato di adattare la realtà alle proprie convinzioni. Parole che sembrano profondamente e terribilmente attuali.
Andrea Besati