Suello: Alessandra Carati parla del suo 'E poi saremo salvi',in finale al premio Strega
"Sembra quasi che la guerra sia colpa nostra perché siamo vivi". Sono parole impregnate di un'intensa malinconia quelle che il padre di Aida rivolge ad un certo punto alla figlia. Parole che segnano uno dei passaggi più intensi e strazianti di "E poi saremo salvi", romanzo d'esordio di Alessandra Carati, edito da Mondadori e finalista nell'ultima edizione del premio Strega. Classe 1975, la scrittrice originaria di Monza venerdì sera ha presentato il suo libro nella biblioteca comunale di Suello davanti al locale gruppo di lettura, nonché a quello di Bulciago.
"La lettura è una cosa personale ma anche potentemente comunitaria. Credo sia bellissimo poter discutere di un libro con delle persone che lo hanno letto nello stesso momento in cui lo hai letto tu. In quest'ultimo periodo stanno nascendo tanti gruppi simili ai vostri" ha ricordato Carati. L'incontro è stato organizzato dalla biblioteca di Suello, in collaborazione con la libreria di via Volta di Erba e nell'ambito della rassegna "Migrazioni. Storie di esseri umani in movimento". È stata proprio la bibliotecaria Manuela Krassowski a dialogare con l'autrice a proposito della storia di Aida, la protagonista del romanzo, nonché della genesi di quest'ultimo. "L'idea la ho avuto nel lontano 2008. Ero docente allo IED e, nell'ambito di un progetto speciale, sono entrata in contatto con Velma, questa ragazza figlia di profughi della guerra di Bosnia. Lei mi ha fatto conoscere questa comunità che viveva a sud di Milano" ha raccontato Alessandra Carati. Dall'incontro con Velma, una delle persone a cui il libro è dedicato, ha preso il via un percorso che ha coinvolto gran parte della vita dell'autrice. L'autrice Alessandra Carati
"Ho passato tanto tempo in Bosnia. All'inizio non è stato facile, la diversità mi respingeva, mi sentivo un'estranea. Piano piano, però sono riuscita a scavalcare questo muro" ha proseguito Carati. "Ho mangiato con loro, sono stata con loro, ho visitato i loro cimiteri ed anche i morti che non hanno più trovato. Questo romanzo è il precipitato di tutte le storie che ho raccolto in quel periodo". "E poi saremo salvi" narra la storia di Aida, ragazza bosniaca che nel 1992 arriva in Italia assieme alla madre dopo essere stata costretta a fuggire dal suo paese a causa della guerra. "Con un po' di incoscienza ho scelto di raccontare la vicenda dal punto di vista della bambina. È diventata una storia personale, non autobiografica ma molto personale. Scrivere attraverso gli occhi di una ragazzina mi ha permesso di ricordare momenti della mia infanzia sepolti sotto strati di vita" ha sottolineato la scrittrice milanese. "Dettagli di quella relazione affettiva ma soprattutto fisica che i più piccoli hanno con i genitori. Uno degli aspetti che ho cercato di tenere in primo piano nello sviluppo della storia è proprio quello delle reazioni fisiche dei personaggi agli eventi. L'arrossire, le parole non dette". Oltre che romanzo di formazione e saga familiare, questo libro è anche il racconto dell'epopea di un intero popolo. "Quella guerra ha innescato la disgregazione del popolo bosniaco così come delle singole famiglie. Il mio è un tentativo di tenere insieme tutti i pezzi che si stanno allontanando, nonché di raccontare le conseguenze del conflitto" ha spiegato ancora la scrittrice di fronte ad un pubblico impietrito dall'intensità delle sue parole. "Conflitto che impatta in modo diverso sulle generazioni che compongono la famiglia di Aida. Arrivata in Italia a soli sei anni, lei riesce ad abbracciare un'altra cultura, cosa che i suoi genitori non riescono a fare. I due alfabeti di cui lei è portatrice non entrano in conflitto fino a quando i suoi genitori le chiedono di schierarsi, ordinandole di non uscire con un ragazzo cattolico o di non indossare magliette che lasciano scoperta la pancia".
Manuela Krassowski della biblioteca di Suello
Aida decide di studiare Medicina anche con il proposito di trovare una cura al disturbo mentale sviluppato dal fratello Ibro. Proprio su questo personaggio si sono concentrate le domande dei lettori presenti ieri sera a Suello. "Costruire il personaggio di Ibro è stato molto difficile. Lui è nato in Italia, non è stato a contatto con la guerra. Nonostante questo, crescere in una famiglia che ha vissuto un trauma così forte lo ha portato a sviluppare una malattia mentale. Questa condizione, tipica di tanti figli di profughi, nel libro è ancora più lacerante perché di fatto è proprio ciò che permette una riconciliazione" ha risposto Alessandra Carati.
Dopo una breve pausa di riflessione, la scrittrice ha aggiunto: "Per un popolo la guerra è uno shock irricevibile. Come si fa a superare una condizione di allarme costante e di spavento continuo?". Parole pesanti come pietre. Oltre al lavoro di ricerca e di studio, il gravoso compito di raccontare un'esperienza umana così drammatica ha richiesto importanti accorgimenti anche sul piano della forma. "Questo libro mi ha cambiata come autore e come persona. Volevo che il linguaggio fosse un ponte per permettere a chi legge di entrare in contatto con i personaggi. Per raggiungere questo obiettivo, ho fatto una grande operazione di sintesi e di limatura della lingua, cercando di renderla non tanto semplicata quanto semplifice. Devo dire che in questo l'aiuto dell'editore è stato fondamentale" ha spiegato la scrittrice.
L'incontro volgeva ormai al termine, alcune delle volontarie si erano già attivate per preparare le tisane che sarebbero state offerte agli ospiti. "Il tuo romanzo fa entrare con facilità nella storia, ti accompagna per mano con semplicità. Tu stai anche seminando un modo di pensare all'accoglienza. Avere l'occasione di guardare le cose da un punto di vista diverso è fondamentale" ha sottolineato Katia Colombo de la Libreria di via Volta. "Abbiamo bisogno di creare un movimento di assorbimento e restituzione con l'esterno. Ce lo chiede in presente. Certo è faticoso e bisogna essere consapevoli che a volte può non funzionare. Ma quando riceviamo qualcuno noi siamo nella posizione più forte. Lui ha perso la casa, non ha più niente". Così si è chiusa la serata, con parole forti, in grado di colpire nel profondo. Parole che zittiscono tutte le trombe della propaganda.
A.Bes.