Lecco, 30 anni di lotta all'Aids con il centro 'Don Meschi': festa il 26

Il centro “Don Isidoro Meschi”, comunità residenziale che accoglie uomini e donne che convivono con il virus Hiv, festeggia i 30 anni di servizio nel territorio lecchese a favore dei malati di Aids e delle loro famiglie. Aperto da Caritas Ambrosiana a Tabiago di Nibionno il 27 novembre 1992, è stato successivamente affidato alla gestione della cooperativa sociale L’Arcobaleno e si è trasferito presso la casa delle suore di Maria Bambina a Maggianico (2016), quindi nella sua sede attuale, a Villa Aldé (2021).
In occasione del trentennale, al cinema Nuovo Aquilone di Lecco si svolgerà la rassegna cinematografica (a ingresso gratuito) dal titolo "Il nastro rosso. Aids: l’evoluzione dagli anni ’80". Giovedì 24 novembre, alla presenza del direttore di Caritas Ambrosiana Luciano Gualzetti, del presidente della cooperativa L’Arcobaleno Renato Ferrario e del prevosto di Lecco monsignor Davide Milani, verrà proiettato il film "Philadelphia", mentre l'1 dicembre (Giornata internazionale contro l'Aids) sarà la volta della pellicola Dallas Buyers Club, cui seguiranno interventi di operatori del Centro “Don Meschi”.



Nel frattempo, il sito internet e la pagina Facebook dell’Arcobaleno proporranno testimonianze, iniziative e articoli dedicati al tema, nell’ambito della campagna “30 di queste storie” che avrà il suo culmine sabato 26 novembre in una festa a Villa Aldé (via Montalbano 7) aperta dalle 11.00 a operatori, ospiti di ieri e di oggi, famigliari e sostenitori del centro “Don Meschi”: dopo la Messa celebrata da monsignor Angelo Bazzari (nel 1992 direttore Caritas e propulsore del progetto) e don Mario Proserpio (assistente del centro), verrà inaugurato il murale “Il giardino dell’accoglienza”, ideato e realizzato da ospiti e operatori.

Il centro “Don Meschi” è stato la seconda comunità dedicata all’accoglienza dei malati di Aids (dopo il “Teresa Gabrieli” di Milano) aperta in diocesi da Caritas Ambrosiana. In tre decenni, ha assistito 242 persone, prestando loro cure mediche e psicologiche e accompagnandole nei percorsi di reinserimento sociale e lavorativo. Inizialmente, i soggetti affetti da Hiv, spesso molto giovani e con legami familiari spezzati, avevano un’alta probabilità di non sopravvivere alla malattia. L’accoglienza post-ricovero ospedaliero li accompagnava con gli strumenti delle cure palliative sino al momento della morte; ben 53 dei 75 decessi registrati al “Don Meschi” si sono verificati nei primi 10 anni di funzionamento della struttura. In seguito, l’avvento di farmaci anti-Hiv sempre più potenti ha cambiato le strategie e le prospettive di vita dei malati; chi si cura presto e bene, anche se non guarisce del tutto, può condurre un’esistenza normale, inoltre l’incidenza di nuove diagnosi di Hiv è in continua diminuzione.
Il nuovo scenario ha modificato le prospettive di lavoro del centro “Don Meschi”. La casa-alloggio offre accoglienza a persone con multiproblematicità sanitarie e sociali, segnate nel corpo e nella mente da decenni di malattia, invecchiate con l’Hiv o in alcuni casi con diagnosi recenti di infezione, ma con patologia già avanzata.

"Soprattutto però il centro “Don Meschi” e la rete Caritas – avverte Luciano Gualzetti - devono proseguire, e anzi per certi versi devono potenziare, l’impegno informativo, educativo e culturale che hanno espresso sin dagli inizi. Occorre sensibilizzare le giovani generazioni, in chiave preventiva, per renderle consapevoli e responsabili, in modo da abbattere il tasso di trasmissione del virus, elevato soprattutto nella fascia d’età 25-29 anni. Bisogna mantenere alta la guardia nei confronti di pregiudizi e forme di stigma sociale sempre possibili e striscianti: i tempi della ghettizzazione dei malati di Aids sono alle spalle, ma non bisogna mai smettere di curare le paure, che hanno sempre ricadute culturali e producono discriminazioni. Infine, è opportuno non smettere di sollecitare le istituzioni e le comunità, ecclesiali e civili, perché favoriscano percorsi di cura, accoglienza e reintegrazione sociale, che siano efficaci e rispettosi della dignità dei malati".

"Sono orgoglioso – gli fa eco Renato Ferrario, presidente della cooperativa L’Arcobaleno – di poter festeggiare i 30 anni della comunità-alloggio con chi l’ha avviata e con tutti coloro che a vario livello hanno contribuito a dare calore, gioia, speranza a tutte le persone che sono state accolte. I tempi sono cambiati dal novembre 1992, momento in cui Caritas Ambrosiana apriva, con tante difficoltà e paure da parte di tanti, la comunità a Nibionno. La cooperativa ha creduto in questa “opera segno”, mettendoci tutto il suo impegno verso gli ospiti e verso il territorio. A distanza di 30 anni vogliamo proporre non solo una celebrazione, ma anche un’occasione per accendere i riflettori sull’Aids, tuttora presente benché se ne parli poco. È vero che sono migliorate le condizioni di vita di chi contrae il virus, ma i contagi sono sempre tanti, anche nel territorio lecchese. Attraverso la visione di due film il 24 novembre e il 1° dicembre, Giornata mondiale contro l’Aids, vogliamo provare a parlarne con tutti".
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