Dolzago: i racconti di un Iran oppresso da giorni, nella serata per dire NO alla violenza

Donna, vita, libertà. È intorno a queste tre parole che si è sviluppato l'incontro di ieri sera, organizzato dall'amministrazione comunale di Dolzago in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Parole che i giovani iraniani hanno assunto ad inno delle loro proteste contro quel regime degli ayatollah che opprime il loro paese da quarantatré anni.

Organizzatori e protagonisti dell'intensa serata a Dolzago

La prima parola è donna. Tante erano le donne che hanno partecipato alla fiaccolata dal parco degli alpini fino al piazzale antistante il comune, dove l'amministrazione ha deciso di posizionare stabilmente una panchina rossa. Una panchina dedicata alle donne vittime di violenza.

"Temi come la violenza contro le donne dovrebbero essere vissuti non solo il 25 novembre ma tutto l'anno tutti gli anni. Grazie alla consigliera Chiara Airoldi abbiamo deciso di lasciare qui stabilmente questa panchina con anche l'indicazione del numero antiviolenza" ha spiegato il sindaco Paolo Lanfranchi. "Si può fare antiviolenza anche all'interno di un bar, di un circolo, di una scuola o una famiglia insegnando che il patriarcato non è più una regola valida nei giorni nostri. Abituiamoci anche in famiglia non tanto alla parità di genere quanto alla tutela del genere umano in generale".

Ma una donna era anche Masha Amini, la ventiduenne curdo iraniana morta a metà settembre a seguito delle percosse subite dagli agenti della polizia morale che la avevano arrestata con l'accusa di indossare il velo in modo scorretto. "Masha era una ragazza normale, non aveva nulla a che fare con il sistema. La gente comune si chiede perché è stata trattata così. Ciò che ha scatenato la rabbia della gente è la violenza irragionevole dei funzionari del governo. La gente comune si chiede che diritto hanno i funzionari del governo di picchiare le persone durante l'arresto o di impedire alle persone di esprimere le proprie opinioni. Il rispetto è il minimo che ogni essere umano merita".

Il sindaco Paolo Lanfranchi

Così, con queste parole decise quanto emozionate, Hadi ha raccontato perché è stato proprio l'omicidio della ventiduenne, e non la morte di tanti altri attivisti e oppositori politici nel passato, a scatenare l'ondata di proteste che sta agitando l'Iran da 60 giorni. Quella del maestro di danza, di origine iraniana ma in Italia da tanti anni, è stata solo la prima di una serie di testimonianze su ciò che sta accadendo nel paese governato dagli ayatollah.

Hooman Soltani e sotto Sepideh

"È necessario dare voce a chi non può parlare. Questa sera ascolteremo delle testimonianze su quanto accade in una zona del mondo dove la violenza è quotidiana" ha esordito il sindaco Lanfranchi nell'intervento con cui ha aperto questa seconda parte della serata, svoltasi nella sala consiliare del Comune. "Ogni diritto che noi diamo per scontato in alcune realtà non lo è" ha aggiunto Ester Camigliano, assessore all'istruzione e tra gli organizzatori della serata assieme ai membri del gruppo cultura. Una delle realtà a cui si fa riferimento è proprio l'Iran, un paese che Massimo Vialardi conosce molto bene. "Ci sono tanti giovani che sono morti o stanno soffrendo rinchiusi nelle carceri. Ragazzi che verranno rinchiusi in appositi centri di rieducazione, ragazze che verranno obbligate a sposare dei mullah per imparare il rispetto della religione" ha sottolineato tra con forza l'avvocato, socio del Rotary Club.

Massimo Vialardi e sotto Hadi

 

Vialardi ha poi aggiunto tra le lacrime: "Gli iraniani sono un popolo meraviglioso. Soprattutto le donne, vi accoglieranno sempre con un sorriso". I giovani e le donne, le parti più vitali di una società composta per la gran parte da under - 35, si stanno ribellando. Si stanno ribellando alle regole soffocanti di una repubblica islamica che reagisce reprimendo con la forza i disordini. Nazanin, la più giovane delle persone, ha voluto essere la voce della rivoluzione. "Vogliamo una vita pacifica, vogliamo che ci vengano riconosciuti i nostri diritti" ha esordito la ragazza prima di procedere in uno straziante elenco di storie. Storie di persone, a volte semplici passanti che non partecipavano alle manifestazioni, arrestate, pestate, abusate e/o uccise dai funzionari del governo di Teheran.

Vite perdute o devastate per sempre nelle ultime settimane. La vita di Hooman Soltani, invece, è stata stravolta quando era ancora giovane. "Ho dovuto lasciare il mio paese, la mia famiglia, i miei amici. Mi sono fatto migrante non per mia volontà. Sono stato costretto da chi rubava, uccideva e saccheggiava quotidianamente i nostri averi" ha sottolineato lo chef persiano dopo aver riassunto le prime fasi della sua vita nel suo paese d'origine. Da 16 anni Hooman risiede a Lecco con la famiglia, dove gestisce un ristorante. Trattenendo a stento il dolore, lo chef ha aggiunto: "Oggi la mia più grande paura è che mio figlio mi chieda un giorno perché non ho fatto nulla. Io non rimarrò in silenzio".

Nazanin

L'ultima testimonianza è stata quella di Sepideh, anche lei in Italia da quindici anni. "Attualmente le donne in Iran non hanno il diritto di cantare se non assieme ad un uomo, di ballare, di vestirsi come vogliono. Non possono recarsi negli stadi, non possono viaggiare all'estero da sole se sono sposate. La maggior parte delle persone in Iran ha meno di 35 anni, è giovane e forte, ha una vita davanti. Una vita che vuole vivere a testa alta e con i capelli al vento" ha spiegato la giovane, con una voce calma che dava ancora più peso alla maggior parte delle sue parole.

 

Non alle ultime tre, non all'inno della rivoluzione che portava con sé il peso di quelle giovani vite spezzate mentre lo urlavano verso i cieli dell'antica Persia. "Donna, vita, libertà".
Andrea Besati
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