Viganò: Francesco Filippi racconta come (non) abbiamo fatto i conti con il fascismo

"Non dimentichiamo tutti i giovani e le donne che in Iran stanno combattendo per un diritto sacrosanto, quello della libertà". L'appello di Armando Fettolini è stato accolto dai convinti applausi del pubblico. Il suo saluto e l'intervento di Lucia Urbano, membro del cda del Consorzio Brianteo Villa Greppi, hanno aperto l'ultimo evento della rassegna "Nascita di una dittatura. 100 anni dalla marcia su Roma", ideata e curata da Daniele Frisco, consulente storico del consorzio. In tanti erano accorsi venerdì sera nella sala consiliare di Viganò per ascoltare Francesco Filippi.

Francesco Filippi

"Dopo Marcello Flores e Giovanni Scirocco, che ci hanno aiutato a comprendere perché il fascismo è nato in Italia e come ha preso il potere, oggi ci concentriamo sull'eredità del fascismo e sul rapporto tra quest'ultimo e gli italiani" ha esordito il dottor Frisco. "L'ospite di oggi è forse uno degli storici che più si è impegnato negli ultimi anni ad esplorare questi temi: Francesco Filippi, uno storico della mentalità". Storico della mentalità, una denominazione molto particolare. "Immaginatevi un bar di paese. Lo storico della politica entra al bar, ordina un caffè, si legge le notizie di politica sul giornale, paga il caffè e va a lavorare. Lo storico dell'economia entra al bar, se è bravo si fa offrire un caffè, legge le notizie di economia e esce" ha spiegato il dottor Filippi. "Lo storico della mentalità entra al bar, ordina un caffè, legge tutto il giornale dall'inizio alla fine. Poi si siede al tavolo del vecchietto intento a sorseggiare il caffè con il fernet e gli chiede "Lei l'ha letto il giornale? Che cosa ne pensa". Lo storico della mentalità studia proprio questo: il rapporto tra la storia e la percezione della storia". Immagine tanto chiara quanto efficace e sferzante. Del resto, il talento divulgativo del quarantunenne ricercatore trentino è stato ampiamente certificato dal successo della trilogia di cui è autore, edita da Bollati Boringhieri e composta da "Mussolini ha fatto anche cose buone", "Ma perché siamo ancora fascisti?", "Noi però abbiamo fatto anche le strade".

L'assessore viganese Armando Fettolini

Con il medesimo linguaggio simpatico ma diretto ed immediato che contraddistingue i suoi testi, Francesco Filippi ha accompagnato i presenti lungo la storia dell'Italia post - bellica mostrando come e perché il nostro paese non ha mai fatto del tutto i conti con il suo passato fascista. "Tra la fine del fascismo regime, il 25 luglio 1943, e il 25 aprile del 1945 noi abbiamo mesi in cui milioni di italiani finiscono la loro esperienza ventennale e raccontano sé stessi a partire dalla fine di quel fascismo regime. Ci sono tre racconti diversi" ha proseguito il ricercatore. "Per gli antifascisti il ventennio passato era il male assoluto e quindi quei vent'anni vanno eliminati dalla storia di Italia. Gli stessi fascisti di Salò non si consideravano eredi di quel ventennio. Poi c'è l'Italia di Brindisi, l'Italia del re. Tace ma si racconta e racconta in maniera chiara e forte che il fascismo è stato un grave errore e bisogna fare marcia indietro. Da qui i governi pieni zeppi di liberali, esponenti del vecchio establishment. Questo è il racconto di Benedetto Croce per esempio".

Lucia Urbano, membro del CdA del Consorzio Villa Greppi

Era una riflessione che colpiva per la sua lucidità, per il fatto che nessuno te la racconta mai in questo modo, a meno di non studiare storia all'università. Nessuno ti spiega mai che quanto ricordato da Filippi è solo la causa interna: britannici e statunitensi, ha proseguito l'autore, assecondarono il desiderio di pacificazione nazionale degli italiani perché l'Italia era già diventata un tassello fondamentale di quella guerra fredda appena gli inizi. Non si poteva rischiare che la sua struttura istituzionale collassasse, magari aprendo lo strada verso il potere al più grande partito comunista dell'Europa occidentale. Nessuno racconta mai la complessità di quella realtà ed è per questo che conferenze come quella di venerdì sera sono fondamentali. "Il mito antifascista è stato sviluppato attraverso l'arte passivizzante del cinema. Roma città aperta di Roberto Rossellini è il capolavoro con cui nasce il neorealismo italiano, è un blockbuster. Allo stesso tempo, questo film crea degli archetipi talmente solidi da essere arrivati fino a noi: il nazista cattivissimo, il fascista vile e traditore. Poi il personaggio positivo: Anna Magnani, la madre - compagna eroina che muore nell'estremo tentativo di tenere insieme la famiglia" ha proseguito Filippi, che poi con un sorriso ha aggiunto:" Per non parlare di Peppone e don Camillo, una grande epopea dell'Italia anni Cinquanta". Capolavori della cinematografia italiana sconosciuti ai più giovani presenti in sala. Grazie alla sua bravura, però, Francesco Filippi è riuscito a parlare anche a loro, così come ha fatto nei suoi libri.

L'impegno del ricercatore verso le giovani generazioni, in realtà, va molto oltre le parole: il dottor Filippi, infatti, dal 2013 collabora con l'associazione di promozione sociale Deina, la quale organizza i viaggi della memoria ad Auschwitz. "In questi quasi dieci anni, tolta la parentesi Covid, ho accompagnato ventimila ragazzi nel cuore nero del passato dell'Europa. È stata un'esperienza che mi ha messo alla prova" ha raccontato l'autore "Questi ragazzi mi raccontavano di trovarsi in difficoltà, magari nelle discussioni online, di fronte a sostenitori del fascismo secondo cui Mussolini ha dato le pensioni agli italiani. Queste sono bufale che la storiografia ha smentito da decenni e ho scritto il primo dei tre libri per spiegarlo".

L'ultimo passo compiuto dal ricercatore sulla via del dialogo con i più giovani è molto recente ed ha la forma de "Guida semiseria per aspiranti storici social", edito sempre da Bollati Boringhieri. "I social ti bloccano in un presentismo stretto da cui non si riesce ad uscire. Ciò non significa che gli storici sono morti: il mondo social ha una fame disperata di storia. Quello che sta cambiando è il nostro approccio con il sapere storico. In quel libro io ho elencato dieci cose da non fare quando si parla di storia su quelle piattaforme" ha spiegato Francesco Filippi. Erano passate quasi due ore, fuori la nebbia si faceva sempre più fitta. Nessuno nella sala, però, se ne era accorto. L'amore per la storia che trasudava dalle parole del ricercatore era qualcosa di veramente coinvolgente. Un amore culminato nella riflessione con cui Francesco Filippi ha chiuso l'incontro.

Daniele Frisco

"Sui social nei prossimi anni si combatterà la battaglia per la sopravvivenza del passato. La storia rischia di fare la fine della geografia, che in quanto tale è ormai morta. La storia è uno strumento che interpreta il presente attraverso il passato. Quel passato che una società matura deve avere il coraggio di affrontare" ha ricordato l'autore. "La storia è un grande accusatore. Ho il terrore che i viaggi di memoria un giorno li faranno nei posti dove oggi con le mie tasse vengono pagati dei lagher per i migranti. Turchia, Libia, Balcani. Ho il terrore che mio nipote mi chieda: nonno tu dov'eri quando accadeva tutto questo?".
Andrea Besati
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