Molteno: le rapine, il carcere ed il riscatto. Daniel Zaccaro racconta la sua storia
Un'infanzia e un'adolescenza di vuoto, di sofferenza lo hanno portato a impetuose e criminali decisioni. L'esperienza carceraria, di solitudine, lo ha portato all'introspezione e alla riflessione sulla sua vita, a cui ha deciso di dare un altro senso grazie all'incontro con le persone "giuste", adulti che lo hanno accompagnato in un vero cammino di cambiamento. È stata la svolta di un destino che pareva già essere segnato.
Classe 1994, Zaccaro è nato e cresciuto a Quarto Oggiaro. Le aspettative su di lui erano molto alte: da bambino era stato selezionato per la squadra giovanile dell'Inter. I genitori sognavano già una carriera sfavillante per quel bimbo ma lui, in una partita in un campo vicino a Niguarda, durante un'occasione, mancò un goal. Fu l'inizio dell'inferno: il padre era violento e lui iniziava a cercare smodatamente il riscatto.
"Mi era stata costruita addosso una gabbia, così come ne avevo formata una io per proteggermi per via della mia bassissima autostima - ha spiegato - Mio padre credeva nel mio sogno forse più di me".
Era considerato un irrecuperabile: c'è stato un momento in cui nessun carcere lo voleva più tra le mura. Per cattiva condotta, è stato quindi trasferito in diverse carceri d'Italia, in Sicilia e a Bari. Durante il carcere, si era accorto che faticava a comunicare i suoi sentimenti più cupi: la psicologa Serafina gli aveva detto che la violenza è segno della povertà di pensiero, mentre Fiorella, l'insegnante conosciuta nell'esperienza a San Vittore, gli aveva ricordato che sarebbe stato il sapere e non i soldi, a salvarlo. Daniel, dopo averli a più riprese rigettati, scopre i libri, prima quelli che gli passa un compagno di cella e poi quelli della biblioteca: la lettura e lo studio lo aiuteranno molto a crescere.
Don Claudio gli ha dato stima, simpatia e fiducia e, anche se in alcune occasioni lo ha tradito, lo ha richiamo alla responsabilità individuale. Sebbene fosse cristiano, non gli ha mai imposto la religione ma ha lasciato che Daniel si avvicinasse alla fede da solo e, quando il ragazzo era pronto, lo ha accolto ancora una volta: "Oggi pochi giovani ne parlano poco apertamente fuori dall'oratorio ma io mi sono reso conto che Dio è tra noi".
"La storia di Daniel ci insegna che non si viene cambiati. C'è qualcosa che si lascia e poi risuona in noi" le parole di don Francesco Beretta nel chiudere l'incontro.
Quella di Daniel è una storia di riscatto: trovando una grandissima forza di volontà dentro di sé e grazie all'aiuto di adulti che lo hanno accompagnato in un percorso di crescita, è oggi un esempio positivo per tantissimi giovani che cercano di riempiere il vuoto interiore.
Daniel Zaccaro - la cui storia di vita è raccolta in un libro - è stato ospite di un incontro promosso, a ridosso della settimana dell'educazione, dalla comunità pastorale dei santi Martino e Benedetto, che comprende Molteno con Garbagnate Monastero, Brongio e Sirone. La serata, che si è tenuta nel salone dell'oratorio di Molteno lunedì 30 gennaio, è stata moderata dalla giornalista Michela Mauri. Il parroco don Massimo Santambrogio ha paragonato l'ospite a San Paolo che "ricorda che era stato e chi è diventato grazie all'incontro con Dio. San Paolo non è stato reticente sul passato ma ha messo in luce il cambiamento".
Da sinistra don Massimo Santambrogio, don Francesco Beretta, Daniel Zaccaro e Michela Mauri
"Mi era stata costruita addosso una gabbia, così come ne avevo formata una io per proteggermi per via della mia bassissima autostima - ha spiegato - Mio padre credeva nel mio sogno forse più di me".
Da qui è cominciata una spirale di violenza, prima con le piccole rapine, gli scavalli, ai danni dei coetanei o furti di bicilette per passare poi, insieme alle amicizie di quartiere, a colpi presso gli istituti bancari che gli portavano soldi, ricchezza e fama. "Dopo le rapine avevo raggiunto una popolarità nel quartiere, ma era un successo effimero. Scegli questa strada quando ti senti vuoto". A Quarto Oggiaro, una persona otteneva rispetto incutendo terrore e acquisiva valore davanti ai compagni quando esibiva abiti firmati, era circondato dalle ragazze e dai motori. In questo ambiente, farsi il carcere era un motivo di orgoglio per avere ancora più rispetto.
Dopo qualche rapina in banca, anche Daniel finisce dietro le sbarre, al Beccaria, il carcere minorile di Milano. "Mi sono reso conto che avevo costruito il mio personaggio. Mi sentivo solo e provavo tanto dolore. Sono stato arrestato a 17 anni e mi accorgevo che mi stavo perdendo gli anni più belli, ma avevo un dolore da attraversare e ancora non ero pronto a superarlo" ha aggiunto l'autore del libro "Ero un bullo. La vera storia di Daniel Zaccaro". La sofferenza e la solitudine lo hanno portato piano piano alla riflessione, a interrogarsi su di sé, anche se non riusciva ancora a trovare equilibrio.
Era considerato un irrecuperabile: c'è stato un momento in cui nessun carcere lo voleva più tra le mura. Per cattiva condotta, è stato quindi trasferito in diverse carceri d'Italia, in Sicilia e a Bari. Durante il carcere, si era accorto che faticava a comunicare i suoi sentimenti più cupi: la psicologa Serafina gli aveva detto che la violenza è segno della povertà di pensiero, mentre Fiorella, l'insegnante conosciuta nell'esperienza a San Vittore, gli aveva ricordato che sarebbe stato il sapere e non i soldi, a salvarlo. Daniel, dopo averli a più riprese rigettati, scopre i libri, prima quelli che gli passa un compagno di cella e poi quelli della biblioteca: la lettura e lo studio lo aiuteranno molto a crescere.
È stato ospite di diverse comunità, ma le numerose regole imposte lo soffocavano e alla fine scappava. Da tutte, tranne che da una: Kayròs, la comunità gestita dal cappellano del carcere don Claudio Burgio. L'incontro con il sacerdote, che veniva osannato dai compagni di carcere, è stato inizialmente di diffidenza: gli adulti che aveva incontrato nella sua vita lo avevano sempre deluso.
In seguito il rapporto tra loro è letteralmente sbocciato: "Ancora oggi don Claudio è uno dei massimi riferimenti - ha sottolineato Daniel - Per me è stato un padre. Mi ha saputo ascoltare, senza giudizio: a volte ci limitiamo a sentire, ma non ascoltiamo gli altri. La comunità Kayròs, a differenza delle altre in cui sono stato, scommette sulla tua libertà. Ti dà la responsabilità ed è un rischio: non sempre chiaramente porta ad effetti, ma il fatto che io iniziassi a rispondere delle mie azioni mi ha dato fiducia". Don Claudio gli ha dato stima, simpatia e fiducia e, anche se in alcune occasioni lo ha tradito, lo ha richiamo alla responsabilità individuale. Sebbene fosse cristiano, non gli ha mai imposto la religione ma ha lasciato che Daniel si avvicinasse alla fede da solo e, quando il ragazzo era pronto, lo ha accolto ancora una volta: "Oggi pochi giovani ne parlano poco apertamente fuori dall'oratorio ma io mi sono reso conto che Dio è tra noi".
L'educatore della comunità, in un'occasione, gli disse che "nella vita non esiste un copione già scritto: fino all'ultimo puoi decidere di cambiare il finale". Daniel lo ha fatto, intraprendendo un cammino impegnativo e difficile. "Quando parlo del mio percorso, non mi amo la parola cambiamento - ha evidenziato - Preferisco prendere spunto dalle religioni orientali e parlare di trasformazione, che ti lascia un po' quello che sei ma intanto ti cambia. Mi sono reso conto che c'è stato un momento in cui non ero pronto. Poi, lavorando molto su me stesso e grazie agli adulti che hanno creduto in me e mi hanno incoraggiato, sono arrivato a superare il mio dolore".
Nel 2020 ha ottenuto la laurea in scienze dell'educazione e oggi è educatore della comunità Kayròs. Durante la discussione di tesi aveva sostenuto che "educatori e insegnanti hanno anche loro la possibilità di diventare padri, madri, guide sicure per i ragazzi, cambiando anche quei destini apparentemente segnati". Alla platea presente in sala l'altra sera, Zaccaro ha suggerito di ascoltare i ragazzi, indagare i loro sentimenti, conoscerli di più, mentre in merito all'errore e alla possibilità di sbagliare nella vita, ha sostenuto di non viverlo come un fallimento perché "la vita è un dono. Ciascuno ha una vita che vale e deve essere accompagnato dagli adulti".
"La storia di Daniel ci insegna che non si viene cambiati. C'è qualcosa che si lascia e poi risuona in noi" le parole di don Francesco Beretta nel chiudere l'incontro.
Quella di Daniel è una storia di riscatto: trovando una grandissima forza di volontà dentro di sé e grazie all'aiuto di adulti che lo hanno accompagnato in un percorso di crescita, è oggi un esempio positivo per tantissimi giovani che cercano di riempiere il vuoto interiore.