Casatenovo:al 'Fumagalli' lezione speciale con ANEI sulla storia degli internati italiani

Pietro Debbiagi, Silvia Pascale, il dirigente Renzo Izzi e Orlando Materassi


''Da mangiare ci davano una sbobba simile ad un pastone per galline. Alla sera una fettina di pane, trasparente. Se sono sopravvissuto, lo devo alla mia giovane età e alla buona salute''. Questa è solo una delle tante testimonianze degli internati italiani, imprigionati dai soldati tedeschi dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. La guerra per l'Italia è ormai compromessa, il re e il generale Badoglio scappano a Brindisi, mentre gli alleati sbarcano sulle coste italiane. I soldati non hanno ordini precisi, sono allo sbando. Alcuni decidono di combattere per la Repubblica di Salò, altri tentano la fuga per tornare dalle loro famiglie, la maggior parte si rifiuta di continuare la guerra a fianco dei tedeschi. In quest'ultimo caso, i soldati saranno deportati nei campi di concentramento. Tantissime le lettere e le cartoline scritte per assicurare i propri familiari. E da questo prezioso materiale è possibile capire quali fossero le condizioni dei prigionieri.

Negli scorsi giorni gli alunni delle classi quinte dell'Istituto Graziella Fumagalli di Casatenovo hanno partecipato alla conferenza dal titolo ''Il cibo sognato'' che ha avuto come scopo quello di introdurre un tema spesso dimenticato dai libri di storia.
Silvia Pascale - docente di lettere e presidente della sezione ANEI (Associazione Nazionale ex Internati nei Lager Nazisti) di Treviso - e Orlando Materassi - già presidente nazionale di ANEI - hanno incontrato i ragazzi dell'Istituto e hanno approfondito il tema dell'alimentazione degli internati italiani.
Alla conferenza, ospitata presso la sala civica di Villa Facchi, si è aggiunto anche Pietro Debbiagi, figlio di un internato, che ha raccontato la propria esperienza personale non senza commozione. Nelle lettere di suo padre c'è la volontà di rassicurare la famiglia sulle proprie condizioni di salute, ma tra le righe emerge il dolore e la fame provata in quei giorni di prigionia. Spesso - hanno spiegato i due relatori - si rubava il pane ai compagni o si rovistava nell'immondizia per una buccia di patata. Anche perdere il cucchiaio poteva rappresentare un problema.
Sono diversi i diari in cui emerge tutta la disperazione di questi uomini. C'era però anche la volontà di rimanere esseri umani e il cibo immaginato, assente in quei giorni, è stato per molti un'ancora di salvezza. Nei diari infatti si trovano spesso ricette, per cene o pranzi futuri; si trovano menù di Natale che danno l'illusione di normalità; si trovano disegni di pietanze per tenere viva la memoria.

Un altro aspetto sottolineato dai relatori è il dolore, presente anche dopo la liberazione. Per molto tempo gli ex internati non hanno parlato della prigionia, e anche coloro che sono rimasti a casa ne hanno pagato le conseguenze. I figli degli internati raccontano di padri violenti, ossessionati dal cibo. Le mani sempre sul panino, anche quando la fame non c'era più e ne rimaneva solo il ricordo.
Per molti alunni si è trattati di tematiche nuove che hanno seguito con sgomento e stupore: impossibile rimanere indifferenti di fronte alla testimonianza diretta di Pietro Debiaggi.
''Non credo che nella lettura di nessun libro o di nessun documentario si possano imparare queste cose'' ha concluso il dirigente scolastico Renzo Izzi che ha ringraziato ancora una volta gli ospiti per aver illuminato un aspetto dimenticato della nostra storia.
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