Campsirago: ''Con tanto amore, Mario''. In scena la quotidianità che non lascia scampo

Uno spettacolo muto. Quasi a ricordare un vecchio film d'inizi Novecento. Paola Tintinelli interpreta Mario, un postino. Non prende mai la parola, la lascia alla vita comune del suo protagonista. Sono i suoni del vissuto quotidiano che irrompono in scena. Il dolce rumoreggiare delle onde del mare, il tintinnio metallico degli oggetti d'uso nella vita quotidiana. Nella serata di sabato primo aprile, a Palazzo Gambassi di Campsirago, va in scena "Con tanto amore, Mario".

Sul palco vi sono pochi oggetti. Un freddo armadio metallico, un guardaroba di un comunissimo locale di lavoro. Dall'armadio Mario toglierà e rimetterà la sua divisa da postino e gli oggetti necessari a compiere le azioni della vita quotidiana: lavorare e mangiare.

Un palo sorregge uno specchio al di sopra del quale vi è un megafono. La sempre uguale giornata di Mario viene accompagnata da comunicati filodiffusi. Portano con sé notizie tristi che non fanno altro che appesantire il vissuto quotidiano, indirizzandolo verso un futuro che pare avviarsi alle soglie di una cupa distopia. La voce perentoria del megafono è sufficiente a schiacciare ulteriormente l'esile e gracile protagonista nella sua ordinarietà, dalla quale sembra incapace di liberarsi.

Sedendosi a un tavolino piccolo il postino inizia a timbrare lettere. Dà vita a un suono meccanico e ripetitivo, come quello del macchinario d'industria pesante. Lo interrompe un campanello. Sancisce l'inizio della pausa pranzo. Viene consumata sullo stesso tavolo, come parte integrante di una procedura lavorativa. Le note di "Con tanto amore" giungono da lontano a gettare un velo malinconico sulla scena, in modo ininterrotto, sia che il postino consumi il pranzo sia che riprenda a timbrare la posta.

L'armadio finisce per divenire totalizzante. Esattamente come è irrinunciabile per la messa in scena artistica, diviene indispensabile per ogni fase della quotidiana vita di Mario. Il protagonista si rivolge a lui per tutto, il freddo suono della sua anta metallica scandisce i passaggi dal lavoro alla vita personale. Fino a far divenire l'armadio parte della sua vita, una parte alla quale forse vorrebbe rinunciare. Ma, a cui non può fare a meno, fino alla fine.

In scena entrano anche le risate degli spettatori. Una colonna sonora che compare di fronte alla goffaggine ripetuta di Mario che non riesce nemmeno a festeggiare senza rendersi ridicolo. Eppure, il protagonista non ride. Non ride mai. Il suo sguardo è triste, stupito delle volte, ma mai felice. A tratti pare persino impacciato come i suoi gesti sempre al centro della scena. Poco alla volta a divenire protagonista, con i suoni della quotidianità, è il volto di Mario. La sua espressività è unica ed eccezionale, grazie alla bravura di Paola Tintinelli nel mettere in scena i sentimenti del personaggio. Il pubblico ride, ma ride per esorcizzare, per allontanare da sé l'idea di poter finire a vivere in quel modo.

Mario è un personaggio di cui il pubblico vede ogni scena quotidiana della sua vita, senza mai conoscerlo davvero. Chi è realmente Mario? Chi è questo postino che stai guardando sul palcoscenico della sua vita? Mario non è nessuno in particolare. Era una persona che ha smesso di esistere nel momento in cui ha perso l'immaginazione di un possibile cambiamento nel suo lavoro e nella quotidianità. Ma, Mario è chiunque al tempo stesso. È l'uomo comune quando il suo vivere si riduce ad una ripetizione macchinosa di schemi quotidiani, sempre uguali, con ritmica cadenza come le timbrature della posta.

Vita ripetitiva nella quale non v'è traccia d'"amore" e dalla quale Mario si toglie di scena, in quello che, alla fine, non appare nemmeno come un gesto di ribellione.

L. A.
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