Casatenovo, è tempo di Pasqua anche in Brasile: l'intenso racconto di don Andrea

Don Andrea
Quattro mesi intensi quelli vissuti sino ad oggi da don Andrea Perego, già responsabile della pastorale giovanile della Comunità Maria Regina di Tutti i Santi di Casatenovo ma volato sul finire dello scorso anno a Salvador de Bahia, in Brasile, come fidei donum.
Una terra difficile, piena di contraddizioni: proprio per questo la sfida che ogni giorno si pone davanti al sacerdote originario di Lecco appare affascinante.
Don Andrea ha già assunto delle prime piccole responsabilità a livello pastorale, guidando il gruppo dei giovani della parrocchia: ''una trentina di ragazzi della favela desiderosi di approfondire la propria relazione con Cristo e ricercatori di un modo di vivere che sia diverso da quello che sembra l’unico e il normale qua nella favela'' scrive nella lettera inviata in occasione della Domenica delle palme, agli amici casatesi con i quali ha condiviso esperienze e sfide durante il suo lungo mandato al servizio delle cinque parrocchie.
Il sacerdote classe 1987 ha poi iniziato ad insegnare nel Centro Educativo “Giovanni Paolo II”, una scuola cattolica frequentata da circa trecento ragazzi, non solo di fede cattolica. Altra esperienza forte, che ha consentito a don Andrea di mettersi nuovamente alla prova in ambito educativo. ''. Come possiamo annunciare Cristo, infatti, se non ci prendiamo carico di ogni singolo ragazzo a partire dalla sua umanità, ferita e bisognosa di qualcuno che sappia dare un orizzonte di senso e faccia intravvedere un futuro promettente dentro alle pieghe della realtà che si vive?'' si chiede il religioso nella lunga e intensa lettera inviata in occasione della Pasqua che pubblichiamo di seguito:


Salvador de Bahia, 2 aprile 2023
Domenica delle palme

Cari amici,
sono ormai quattro mesi di Brasile e questa terra magica mi ha già completamente stregato.
Sento quasi di appartenere in qualche modo a questa gente, così segnata da grandi contraddizioni che, a ben guardare, rispecchiano quelle contraddizioni personali che ciascuno di noi porta nel suo cuore e che solo con grande onestà e umiltà si è capaci di riconoscere.
Forse per questo avverto Salvador così vera, così “mia”.
Le differenze sociali sono macroscopiche, eppure anche in questa realtà c’è chi pare non accorgersene o curarsene: non accade forse questo anche nelle relazioni, nella nostra sfera affettiva, nel modo con cui pensiamo e guardiamo alla realtà?
Questa realtà in cui sono immerso mi sta stupendo per la sua inattesa bellezza, e mi sta conquistando perché la percepisco come un dono, e dentro a questa dinamica di gratitudine riesco a mettere in moto, in modo libero e lieto, tutte le risorse che il buon Dio mi ha concesso.
Brasile terra bella e forte. Terra della vera croce (questo è stato il primo nome dato dai portoghesi).
Che bello sentirsi a casa, anche se così lontano da casa! Che bello scoprirsi parte di una realtà più grande di me, che è un dono per me e che per questo mi mette in moto!
C’è motivo per cui essere grati.
In questo ultimo periodo ho assunto alcune piccole responsabilità a livello pastorale. Prima di tutto la guida del gruppo dei giovani della parrocchia, per un’età che va dai diciotto fino ai ventinove anni. Una trentina di giovani adulti della favela desiderosi di approfondire la propria relazione con Cristo e ricercatori di un modo di vivere che sia diverso da quello che sembra l’unico e il normale qua nella favela: intuisco che l’obiettivo sia di mostrare loro questa via “altra” mantenendosi fedeli alla propria chiamata e diventando compagni di viaggio non con le parole, ancora un po’ confuse in portoghese, ma prima di tutto con lo stile e con l’esempio.
Mi ha stupito ricevere sinceri ringraziamenti da parte dei più giovani per il fatto di essere arrivato tra loro, e in particolare il ringraziamento per il fatto che parlo loro di Cristo e li aiuto a comprendere meglio questo Mistero dal quale si sentono attratti: che meraviglia!
In Quaresima i giovani hanno meditato sulle stazioni della Via Crucis e hanno riletto la realtà quotidiana della favela alla luce della Passione di Cristo: quanto stupore nel vedere che questa storia d’amore, la donazione della vita da parte di Cristo, continua ad affascinare l’uomo ad ogni latitudine e longitudine, e riesce a dare speranza e nuove prospettive anche a dolori che sono più forti della morte stessa, come l’omicidio, lo stupro o le varie dipendenze con cui questi giovani si devono misurare ogni giorno.
Ho poi iniziato ad insegnare nel Centro Educativo “Giovanni Paolo II”, che, per dirla in sintesi, è una scuola cattolica del nostro bairro, frequentata da circa trecento ragazzi, non solo di fede cattolica.
Una realtà sfidante perché il confronto con l’adolescenza è anche mescolato con le fatiche umane di ragazzi già troppo maturi per l’età che hanno, che hanno già visto o che sanno fin troppe cose della vita, e che ne restano inevitabilmente segnati.
Diversi di loro già mi chiamano “papà”, non nel senso di “padre”, cioè prete, ma proprio nel senso di padre di famiglia, riconoscendo in me una figura maschile di riferimento credibile, dato che, per la maggior parte dei casi, nelle famiglie la figura maschile è del tutto marginale e si trasforma o nella figura del violento che abusa, oppure del debole, schiavo della droga o dell’alcool. Sono le donne che portano avanti le famiglie, che lavorano, che cercano di educare i figli, con le stesse fatiche di tutte le persone che comunque sono immerse nella dinamica della favela…
Poter lavorare in ambito educativo mi ha fatto ripartire su un campo di gioco che sento molto “mio”, e sul quale molto mi sono speso negli anni passati. Mi ha fatto come sentire un po’ una continuità di lavoro e di intenti, nel desiderio di progettare, condividere e studiare percorsi educativi percorribili qua per una proposta di riscatto, di promozione e di crescita che sia prima di tutto umana. Come possiamo annunciare Cristo, infatti, se non ci prendiamo carico di ogni singolo ragazzo a partire dalla sua umanità, ferita e bisognosa di qualcuno che sappia dare un orizzonte di senso e faccia intravvedere un futuro promettente dentro alle pieghe della realtà che si vive?
In qualche modo ritrovo in tutto questo lo stile educativo dell’Oratorio “fuori dall’Oratorio”…
Tutto questo ha molto a che fare con la nostra fede cristiana, perché ci ricorda che non possiamo pretendere di vivere una relazione reale con Dio senza passare attraverso la complessa ma bellissima avventura di una vita pienamente umana.
Se eliminiamo dalla nostra relazione con Cristo la sua umanità e insieme ci dimentichiamo della nostra, eliminiamo anche la stessa possibilità di un’esperienza realmente cristiana.
Anche a Salvador è quasi Pasqua e quindi colgo l’occasione di questa lettera per far arrivare a ciascuno di voi i mei auguri.
Faccio mie queste parole di papa Francesco: all’uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce. In Cristo, Dio stesso ha voluto condividere con noi questa strada e offrirci il suo sguardo per vedere in essa la luce. Cristo è colui che, avendo sopportato il dolore, «dà origine alla fede e la porta a compimento» (Eb 12,2).
Queste parole, come ora le propongo a voi, così mi sono state offerte da alcuni amici e non posso che sentirle vere per me in questa Pasqua. Ecco perché le ho scelte anche per voi.
Ricominciare è una parola molto vicina alla parola più cristiana «risurrezione». Quante volte ci siamo ricordati che proprio per questo la Pasqua è il mistero principale, il mistero grande della vita cristiana! È per Colui che è tra noi che ognuno di noi riprende, ognuno di noi ricomincia, ognuno di noi rinasce, ognuno di noi risorge. Per ogni giornata e ora e istante della nostra vita, la risurrezione, la ripresa, il ricominciare debbono dettare il cammino, debbono essere la legge.
Questo sia l’augurio più vero per me, per la mia nuova gente qua, e per i miei vecchi amici là.

don Andrea
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