Nibionno: la donna alla conquista del calcio femminile, Katia Serra racconta le battaglie

L'ingresso in sala è fiero, ma non spocchioso. L'incedere deciso e lo sguardo alto raccontano già di una donna che, con spalle larghe, ha saputo farsi spazio in un settore prettamente maschile e ha combattuto battaglie perché altre donne possano inseguire il sogno di diventare calciatrici professioniste.



Katia Serra con la società calcio femminile Tabiago e i rappresentanti istituzionali

Katia Serra, una carriera da calciatrice alle spalle, è stata ospite di IterFestival, la manifestazione culturale quest'anno dedicata all'universo femminile, per presentare il suo libro "una vita in fuorigioco. Cronache dal mondo che tutti pensano di conoscere". La rassegna, promossa dal consorzio Brianteo Villa Greppi in collaborazione con lo Sciame libri di Arcore, ha fatto tappa nel salone dell'oratorio di Cibrone giovedì 11 maggio. "Donna e calcio è uno stereotipo che viene spesso visto con i capelli in piedi. Katia questo confine l'ha abbattuto: è entrata in questo mondo a gamba tesa e ne è uscita vincitrice" ha commentato il sindaco Laura Di Terlizzi in apertura, mentre Lucia Urbano, presidente del consorzio Villa Greppi ha aggiunto. "In questa rassegna abbiamo avuto diversi incontri con donne che hanno abbattuto gli stereotipi. Ci hanno raccontato delle resistenze che si incontrano e delle lotte che bisogna fare per arrivare agli obiettivi".



Moderata da Mauro Cereda, Katia, con parole curate e grande chiarezza espositiva, accompagnata da grinta e determinazione, si è aperta al pubblico raccontando le sue molteplici esperienze: da calciatrice di altissimo livello, è poi passata nel sindacato in difesa delle donne nel calcio per giungere all'attuale carriera come opinionista e commentatrice sportiva. Con il suo assunto di partenza - "non è semplice riuscire ad emergere se devi coltivare l'aspetto professionale con quello personale e di famiglia" - ha subito espresso la difficoltà, per una donna, di conciliare carriera e sfera personale.


"In casa, sin da piccola, giocavo sempre con mio fratello, in terrazza, in salotto, in cortile: le prime partite le giocavo sulla discesa che porta al garage e ho imparato così alcuni primi trucchi - ha detto Katia Serra - Il calcio è qualcosa che non ho scelto, ma ho seguito: era una passione che avevo dentro. I pregiudizi, le discriminazioni, gli ostacoli li ho scoperti più tardi: da bambina, ero ben integrata nel gruppo dei maschi dove mi chiamavano per prima perché facevo goal e li facevo vincere. Ho sempre pensato che il calcio sarebbe entrato nella mia vita, ma non sapevo in che forma. Le regole negli anni '80 mi impedivano di giocare a calcio: non c'erano calciatrici femminili. A 13 anni ho debuttato in prima squadra, in uno spogliatoio di adulte, più tardi ho cominciato a farmi male e a fare i conti con le difficoltà. Quando ho smesso, ho cominciato una carriera da sindacalista per trasformare il sogno che non ho potuto realizzare e darlo alle altre ragazze".



A destra Lucia Urbano, presidente consorzio Villa Greppi

Già perché per le donne non c'era posto nel calcio, universo monopolizzato dalla figura maschile. "Per tutte il calcio era un hobby: nonostante rappresentavamo l'Italia per il mondo, avevamo tutte un lavoro e, il resto del tempo, era dedicato alla nostra passione. Le sere ci allenavamo e il fine settimana giocavamo: diventava quindi complicato coltivare relazioni - ha proseguito Serra - Quando giocavamo, ci davano le divise degli uomini che ci arrivavano alle ginocchia mentre noi sognavamo un abbigliamento che tenesse conto della sagoma femminile. A Coverciano, ci veniva impedito di usare il campo centrale che era solo per gli uomini così ci allenavamo in quelli periferici: oggi per fortuna non è più così. Facevo parte di una generazione in cui i club non pagavano l'affitto dei campi e ci allenavamo in strada, facevamo le trasferte in nave perché erano più economiche dell'aereo, partivamo presto il mattino per tornare la sera, senza nemmeno il tempo di riposare. È importante sapere da dove si è partiti: oggi c'è il professionismo, siamo più considerate ma siamo ancora all'inizio di un percorso che ci vede ancora molto indietro".


Lo sa bene Katia Serra che ha avuto la possibilità di giocare in Spagna, per il Levante e, confrontandosi con una società all'estero, ha toccato con mano la considerazione pressoché nulla che il calcio femminile aveva in Italia: "All'estero, le giocatrici vivevano il calcio femminile come un mestiere e la loro giornata era orientata all'allenamento, alla cura dell'alimentazione, c'erano i fisioterapisti, gli allenatori, i massaggiatori, i preparatori atletici, i team manager. Noi eravamo giocatrici lavoratrici con la passione del calcio mentre loro giocatrici: non c'era competizione dal punto di vista fisico. Il sistema non ci metteva nelle condizioni di essere atlete. In Spagna ho fatto solo la calciatrice: sono stata la seconda donna del calcio italiano ad avere questa opportunità, ma sono arrivata tardi. Avevo 36 anni e pagavo i tanti infortuni che ho avuto: in Spagna avevo tutto quello che mi serviva per pensare solo al calcio. Il tempo libero che rimaneva mi permetteva di avere anche vita sociale, ovvero di essere una persona. In Italia il tempo era inesistente ed era complicato vivere la vita reale".



Katia Serra e il moderatore Mauro Cereda

Nel 2004, quando era ancora in nazionale, Katia ha iniziato ad occuparsi di sindacato: "Nel 2011, quando è arrivato Damiano Tommasi, c'è stata subito intesa. Abbiamo iniziato in lungo e largo a girare l'Italia ma ci prendevamo come due visionari. A forza di andare in giro, le calciatrici hanno però capito che non si sentivano più sole. Nel 2015 abbiamo strutturato uno sciopero: la federazione da quel momento ha capito che doveva per forza impegnarsi. I club maschili hanno iniziato ad avere la sezione femminile e oggi abbiamo club che permettono alle ragazze di strutturare il loro sogno: è cambiata la prospettiva. Essere professioniste, oggi, significa avere un lavoro tutelato in tutto per tutto: la maternità, uno stipendio garantito, l'Inail". Queste tutele sono state introdotte solo dal 1° luglio 2022. Ci sono voluti anni di battaglie e donne come Katia Serra che vi hanno creduto, andando a fondo, nonostante i molteplici ostacoli e le frustrazioni.



A sinistra l'assessore a cultura e istruzione Davide Biffi

Il calcio femminile, secondo l'ex professionista, dovrebbe essere ripensato su misura di donna: "La mia generazione è stata allenata come gli uomini senza preoccuparsi della struttura femminile che morfologicamente, fisicamente e psicologicamente è differente. Le metodologie ora hanno iniziato a tenere conto delle differenze: l'unico step che non viene fatto è non pensare a regole ad hoc per elevare le potenzialità delle prestazioni di una giocatrice - ha sostenuto Serra - Sostengo la bellezza del calcio femminile per i valori che trasmette e la potenza che c'è: se vogliamo elevare lo stato di questa bellezza, le regole ad hoc sono un passaggio inevitabile. Nelle nostre lotte di emancipazione commettiamo a volte degli errori e credo serva un altro passaggio per investire nella crescita di questo sport. Siamo uguali ma diverse dagli uomini: dobbiamo avere le stesse opportunità ma con la differenza delle nostre specificità. Secondo me non sarebbe sminuente ma valorizzante per il potenziale della calciatrice".



Katia Serra con il sindaco Laura Di Terlizzi

Katia Serra è emersa come personaggio pubblico dopo aver commentato, per la Rai, la finale di Euro2020. La sua carriera come opinionista sportiva era però già avviata da tempo e ancora oggi si prepara approfonditamente per le dirette. "Non era mai capitato al mondo che una donna commentasse una finale, peraltro prestigiosa. Noi siamo stati il piano di emergenza della Rai, in quando i titolari si sono ammalati di Covid. C'erano in me grande responsabilità e grande onore - ha detto - Nel libro racconto l'emozione di come è stata vissuta la partita. Ho giocato finali, ho vinto scudetti e coppe: alla partita di Wembley mi sono sentita tanto in gioco ma sono arrivata serena perché avevo la preparazione. Da dieci anni commentavo il calcio maschile e avevo fatto la gavetta".


Alle ragazze della società sportiva calcio femminile Tabiago, presenti alla serata insieme ai dirigenti, ha suggerito un cambio di prospettiva per pensare alla costruzione del loro futuro, indipendentemente da quale esso sia, nello sport o in altri obiettivi: "Io sono quella che andava a correre tutti i giorni, festività comprese, sull'argine del fiume fuori casa, io sono quella che si allenava con i sacchi per irrobustire il fisico, io sono quella che si allenava sotto la pioggia e la neve. L'impegno può permettere di raggiungere obiettivi ed essere talmente forte da far cambiare idea agli altri. Non vivo per la visibilità ma spero di seminare un cambiamento per le donne, non per il genere ma per il merito". Parole che dovranno risuonare ancora forti sui campi e non solo, ma Katia Serra è la dimostrazione che, credendoci e mettendoci impegno, sacrifici, battaglie, le donne possono dimostrare i loro valori e le loro capacità, prendendosi il giusto spazio nel mondo.
Michela Mauri
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