Garbagnate: il primo libro di Santina Motta, 'Solo quindici giorni' unisce lavoro e vita

"Solo quindici giorni". È il titolo del primo libro scritto da Santina Motta, consigliera comunale di Garbagnate Monastero che quest'anno, a febbraio, ha tagliato il traguardo della pensione. Dopo una vita - lavorativa - trascorsa alla Rsa Luigi e Regina Sironi di Oggiono, è riuscita a mettere nero su bianco impressioni di storia personale unita a quella lavorativa. 



Santina Motta

"Il titolo del volume ha due significati: uno è chiaro nel libro dove si trova la risposta; l'altro indica il tempo che alcune volte non è al passo con noi: o siamo noi fuori tempo oppure reputiamo che il tempo non sia al passo con noi. In questo senso quindici giorni possono essere poco o tanto tempo, a seconda del punto di vista" ha esordito l'autrice."Ogni persona durante il suo passaggio lascia una traccia di sé. Alcune vestigia sono ben visibili, altre sono impercettibili, ma ben custodite nella cassaforte della memoria. Ho lavorato molto su questo concetto".
Il libro è diviso in due parti: una prima, biografica, in cui Santina racconta delle origini nobili e aristocratiche della famiglia, della perdita della sorella e dei legami familiari. "Sono aspetti che, prima d'ora, sono rimasti dentro di me. Non li avevo condivisi con nessuno. Dopo averli scritti, mi sono sentita sollevata perché avevo tirato fuori una parte di me. Per me è stato come liberarmi come di un segreto che avevo dentro".



La seconda parte, dal titolo "un po' di noi", riguarda proprio la vita in Rsa e i cambiamenti che queste strutture hanno avuto negli anni. "In questo periodo storico, tante persone hanno un parente in Rsa o per ricoveri di sollievo o a tempo indeterminato. In questi anni di lavoro, invece, ho assistito alla trasformazione politica e burocratica di questo tipo di struttura. Ho riportato anche un pensiero sul sentimento degli ospiti: per un anziano entrare nelle Rsa è un evento critico. Sono sradicati dal loro ambiente, la casa dove sono soliti vivere con i familiari e vengono catapultati in una nuova dimensione. Ho fatto 41 anni e 3 mesi nell'ambito degli anziani e mi sono detta di lasciare una traccia: ho dato tanto e molto mi è tornato, così ho fatto come la consegna del cambio turno che si fa in ambito sanitario. Ognuno di noi, in qualsiasi ambito della vita, anche del vivere quotidiano, lascia una traccia di qualcosa, poi sta agli altri trovarla e capirla. Per questo ho voluto lasciare una traccia: lo reputo la mia consegna. Ho fatto lunghe riflessioni e ho pensato a quante persone ho conosciuto".
Durante la scrittura del volume, Santina ha indagato se stessa: "Mi sono domandata perché a 18 anni ho deciso di andare a lavorare con gli anziani: ho fatto lavoro di introspezione, ricordando che la mia famiglia è molto numerosa. Sono convenuta che mi è mancata la figura dei nonni in quanto ho conosciuto solo la mamma del papà - ha detto - A 18 anni avevo voglia di stare con gli anziani e con loro sono rimasta. Mi avevano proposto un contratto come coreografa ballerina ma non me la sono sentita: andava bene finché rimaneva nella dimensione della passione, del divertimento e non come un lavoro. Al momento di firmare il contratto mi sono bloccata e non me la sono sentita. Avevo fatto richiesta di lavoro in due strutture: mi hanno chiamata per prima in Rsa Sironi a Oggiono dove sono rimasta fino a febbraio. All'epoca, nel 1981, si chiamava "ricovero vecchi" ed era una denominazione di pessimo gusto. In questo libro, avrei potuto scrivere storie che risultavano interessanti visto che ho assistito a storie di anziani di un certo sapore, ma non volevo scrivere cose che stupivano. Ho invece parlato di buona morte e del senso della vita. Mi sono riallacciata anche all'importanza degli sguardi, che ho visto negli anziani che non riescono a esprimersi. Oltre al linguaggio non verbale, c'è quello della narrazione: quando un anziano racconta, sta dicendo la verità. Non dobbiamo mai deridere un anziano se vediamo che ha un'affezione o un rapporto con un'altra persona perché il cuore, finché la persona vive, non invecchia. I sentimenti e il lato affettivo proseguono: la persona ha bisogno di amare ed essere amata".
La copertina del libro rappresenta un albero della vita: è un disegno che realizzato un ospite della Rsa, donato a Santina nel giorno della pensione. 



Nel volume si parla anche della pandemia che ha caratterizzato la nostra epoca: "L'ho denominato il tempo del buio perché mentre il Covid ci teneva d'occhio, noi non lo vedevamo. È arrivato un nemico che ci ha messo tutti a tappeto. Abbiamo dovuto adeguarci a normative, decreti e leggi. Non tutti hanno compreso quello che abbiamo vissuto in struttura dove abbiamo ricostruito il percorso del pulito e dello sporco con postazioni dove gli operatori indossavano il camice idrorepellente, il grembiule in PVC, la mascherina, gli occhiali, la visiera e due paia di guanti di plastica prima di entrare in servizio. È stato come andare in guerra. Purtroppo i parenti non potevano vedere gli ospiti e gli operatori erano gli unici riferimenti per loro - ha aggiunto l'autrice - È stato un periodo d'utopia perché è stato l'unico momento in cui siamo passati dall'io al noi, anche se poi lo abbiamo dimenticato in fretta. Le persone erano obbligate a guardarsi negli occhi perché con le mascherine non si vedeva altro. È stato l'unico periodo in cui gli sguardi si sono incrociati".
Santina non è nuova alla scrittura: sin da bambina scrive poesie e brevi racconti, preferendo le storie vere ai romanzi di fantasia.
Il testo si conclude con un'ultima parte, denominata "tra alba e tramonto": "È un testo che nessuno aveva mai letto - ha dichiarato - Lo avevo scritto nel marzo 1980: ero appena diventata 17enne e l'avevo scritto per il mio primo ragazzo che è venuto a mancare. All'epoca mi vedevo anziana mentre oggi penso al tempo di gioventù. Da ragazza, guardavo il tramonto della vita mentre ora ripenso e guardo l'alba".
M.Mau.
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