Casatenovo: tanti spunti per riflettere e ''luoghi comuni'' alla serata sul tema autismo

"Brianza autistica: luoghi comuni o luoghi sicuri?". Era questo il titolo dell'evento che si è tenuto nella sera di martedì 18 giugno presso Villa Facchi: un incontro, pubblico e gratuito, organizzato e condotto da persone ''nello spettro'', in occasione della giornata mondiale dell'orgoglio autistico.
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L'evento, curato da Ren dal Bosco, Stefania Donzelli e Claudia Spreafico, è stato proposto in collaborazione con l'associazione Rifugio, già attiva sul territorio di Casatenovo, e con il patrocinio, oltre che del comune ospitante, anche di quello di Missaglia, della cooperativa La Grande Casa e della Provincia di Lecco. Una serata, quella di martedì, che ha puntato da un lato sensibilizzare e istruire i partecipanti in merito alla tematica dell'autismo, e dall'altro ha voluto coinvolgerli in laboratori e momenti organizzati proprio per riflettere attivamente su alcuni spunti in merito ai luoghi comuni quando si parla di autismo.
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A destra Stefania Donzelli, fra le promotrici dell'incontro

"Nel corso della storia il significato della parola autismo è cambiato e si è evoluto, tutt'oggi è difficile rimanere aggiornati sui dibattiti a riguardo. L'invito a tutti noi oggi è riconoscere che siamo qui per un interesse comune ma a questa parola possiamo dare dei significati diversi. Chiariamo dunque il contesto in cui ci stiamo collocando: noi stasera parleremo di autismo come vissuto condiviso, e lo faremo in quanto persone autistiche diagnosticate in età adulta" ha spiegato Stefania Donzelli introducendo la serata e spiegandone in questo modo finalità e modalità di esposizione.
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"Questa prospettiva secondo noi sul territorio è poco visibile, ed è stato proprio questo a spingerci a creare un incontro proprio di questo tipo. Se allora l'autismo è una parola che ha tanti significati, allora è anche un'esperienza che può essere vissuta e sperimentata da diversi punti di vista. Lo sguardo di clinici e familiari è stato sempre predominante: nella giornata dell'orgoglio autistico, dunque, vogliamo rivendicare l'importanza anche della prospettiva delle persone autistiche".
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Ren dal Bosco

È proprio attorno al significato della parola "autismo" che si è svolta la prima parte di evento, ricco di spunti e contenuti per tutta la sua durata. Il primo concetto enunciato, di fondamentale importanza per collocare l'argomento, è stato quello di "paradigma della neurodiversità", ovvero un modo di guardare la realtà che non considera certe modalità di comportamento giuste e altre sbagliate, ma le abbraccia tutte, nelle loro differenze.
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La neurodiversità descrive la variabilità neurologica umana, ovvero le differenze individuali nel modo in cui le nostre menti elaborano le informazioni e rispondono agli stimoli forniti dall'ambiente. La neurodiversità dunque è un fattore biologico, nessuno metterebbe in discussione che ogni mente sia unica, anzi, questa variabilità, potenzialmente infinita, si può considerare come una delle tante espressioni della biodiversità che esistono nel mondo.
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Sebbene le differenze biologiche siano potenzialmente infinite, però, non tutte godono della stessa considerazione nella nostra società. Il paradigma della neurodiversità, infatti, non è sempre stato quello prediletto dalla nostra cultura: fino a dieci anni fa, infatti, per parlare di autismo si adottava il paradigma della patologia, che vede la variabilità neurologica umana (e quindi il mondo di pensare) secondo uno stereotipo "normale" e uno "non normale", e dunque patologico.
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È il paradigma della neurodiversità, invece, che sottolinea che non esiste uno stile cognitivo di elaborazione delle informazioni che sia intrinsecamente corretto, come non esiste un modo di elaborare le informazioni che sia sbagliato a priori: tutto allora dipende dal contesto in cui queste differenti modalità di espressione sono inserite e dalle aspettative e dalle norme sociali a esse associate.
"Cosa significa allora applicare il paradigma della neurodiversità all'autismo? Significa comprendere che non esistono un approccio cognitivo giusto e uno sbagliato, ma che vi sono modi differenti di processare una stessa informazione" ha aggiunto ancora Donzelli.
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"Poiché però siamo reduci di un paradigma che etichetta le persone con menti "tipiche" - in maggioranza numerica - come normali, e quelle "atipiche" come non normali, essere neurodivergente in una società come la nostra vuol dire appartenere a un gruppo umano con modalità di percepire ed elaborare le informazioni nettamente diverse da ciò che è considerato "normale", ma che, in realtà, non è altro che compatibile con le norme sociali dominanti". 
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Per permettere ai presenti (e ai nostri lettori, ndr) di comprendere meglio questo concetto è stato utile fare un esempio, che riguardava il concetto di guardare una persona negli occhi quando le si parla. "Tutti sappiamo che per molte persone autistiche è preferibile non guardare negli occhi il proprio interlocutore, perché può essere distraente, sovraccaricante e di conseguenza, in certi casi, doloroso" ha spiegato Donzelli. "Intrinsecamente, in questo comportamento non c'è nulla di sbagliato, ma in una società che vede il guardare negli occhi come segno di interesse, la persona autistica viene sicuramente malvista, o se non altro, mal interpretata. La conferma che si tratta di una convenzione sociale, però, ci arriva dal fatto che in molte culture, invece, per esempio quelle asiatiche, guardare negli occhi qualcuno è considerato un affronto, una mancanza di rispetto. Ecco, guardare all'autismo secondo il paradigma della neurodiversità significa portare attenzione a quello che si pensa a livello sociale di uno specifico comportamento: è un modo di approcciare la realtà particolarmente prezioso, perché è più funzionale al benessere delle persone accettarle così come sono e impegnarsi a decostruire determinate norme piuttosto che obbligare qualcuno a fare qualcosa che lo fa stare male". 
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Chiarito il significato della parola autismo, e il contesto all'interno del quale deve necessariamente essere inserita, sempre in tema "linguaggio" è stata fatta da parte degli organizzatori un'ulteriore precisazione, ovvero la motivazione per cui si dice "persone autistiche" e non "persone con autismo". "Premesso il fatto che non è una cosa universalmente riconosciuta, perché ogni esperienza, come dicevamo, è individuale, si preferisce dire "persona autistica" per dare importanza alla persona e alla sua identità, alla sua essenza: l'autismo non è qualcosa che possiamo mettere o togliere, non esiste una versione di noi "senza autismo", è parte integrante della nostra personalità, non un disturbo o un deficit da cui ci dobbiamo separare" ha sottolineato ancora Donzelli. 
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È chiaro, poi, che quello dell'autismo è uno spettro, e dunque in molti casi essere persone autistiche comporti delle difficoltà, soprattutto per le persone autistiche a basso funzionamento, per le quali tuttavia l'assenza di parole non implica un'incapacità di esprimersi. L'obiettivo della serata, come spiegato in diverse occasioni, era che la destigmatizzazione dell'autismo da sola non migliora la vita delle persone autistiche, ma una società informata, consapevole e disposta a mettersi in discussione contribuisce sensibilmente.
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A sinistra Claudia Spreafico

Proprio sull'invito a riflettere allora è stata incentrata la parte più importante dell'incontro, ovvero il laboratorio nel quale i partecipanti, divisi in gruppi, hanno portato la loro attenzione su alcuni luoghi comuni associati alle persone autistiche e, attraverso il racconto della propria esperienza personale e l'ascolto di quelle altrui, arrivare a trarre importanti insegnamenti, utili in serata ma soprattutto alla società intera: l'importanza di ascoltarsi a vicenda, di mettersi nei panni dell'altro, di pensare anche al di fuori del nostri schemi e, soprattutto, capirsi e accettarsi per come si è.
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Ultimo spunto di riflessione è stato poi un video, mostrato in serata, il cui obiettivo era sottolineare ancora maggiormente come si tratti solo di percezioni sociali: per farlo, singolare è stata la scelta di trattare le persone neurotipiche, non canonicamente definite "allistiche", come pensiero di minoranza, generando quindi un "paradosso" leggero, ma che ha fatto comprendere ancora meglio quanto a definire il significato di certe interazioni sia proprio il significato che gli diamo. 
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I ringraziamenti e la soddisfazione degli organizzatori e del pubblico, infine, hanno in tarda serata concluso l'incontro: un momento che, nelle menti di chi ha partecipato, rimarrà per lungo tempo, portatore di un po' di conoscenza e consapevolezza in più.
G.G.
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