Annone, crollo del ponte: in Appello scagionato il dirigente ANAS, ''capro espiatorio, senza ruoli formali sul manufatto''

Depositate lo scorso 10 settembre le motivazioni attraverso le quali i giudici della V sezione penale della Corte d’Appello di Milano, hanno parzialmente riformato la sentenza di primo grado relativa al crollo del ponte di Annone. Il dispositivo a firma dell'allora presidente della sezione penale del Tribunale di Lecco, Enrico Manzi, era stato infatti impugnato dalla parte civile Codacons e dalle difese di Angelo Valsecchi e Andrea Sesana (dirigenti della Provincia di Lecco) e di Giovanni Salvatore di ANAS, tutti ritenuti -a vario titolo - responsabili del cedimento del manufatto che il 28 ottobre 2016, causò la morte del civatese Claudio Bertini, che proprio in quegli istanti stava transitando dalla SS36 per fare ritorno nella sua abitazione di Civate. E non solo; il collasso dell'infrastruttura, incapace di sopportare il peso di quasi 108 tonnellate dell'autoarticolato Nicoli che stava raggiungendo la zona industriale della confinante Cesana Brianza, provocò il coinvolgimento di altre tre automobili che in quei drammatici istanti stavano impegnando la superstrada e la strada provinciale 49, nel tratto interessato al sinistro.
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Il vero ''colpo di scena'' della sentenza di secondo grado formulata ad aprile (con motivazioni rese note una decina di giorni fa appena) dai giudici Francesca Vitale, Ilaria De Magistris e Cristina Ravera, riguarda la posizione di Giovanni Salvatore, il dirigente della società che si occupa della gestione di strade e di infrastrutture, uscito dal Tribunale di Lecco con una condanna a tre anni e sei mesi sulle spalle, e assolto invece in Appello. Per i giudici va esclusa la responsabilità penale in capo all'imputato, in quanto egli non risultava titolare di una posizione di garanzia in relazione al ponte. Innanzitutto perchè il manufatto - seppur gestito da ANAS - non era censito nel catalogo delle opere della società, non essendo mai intervenuto il passaggio di titolarità dall'allora Provincia di Como (poi Lecco), altro tema di cui si era ampiamente dibattuto nel processo di primo grado culminato nella sentenza di inizio settembre 2021. Giovanni Salvatore era a capo di uno dei quattro centri di manutenzione (cui competevano 7 strade, fra cui la SS36), ma non vi era un riferimento formale al cavalcavia di Annone. Il dirigente condannato dal giudice Manzi, per la Corte d'Appello sarebbe stato un ''capro espiatorio'', trovandosi nel posto sbagliato al momento sbagliato, senza che venisse effettivamente accertata la sua responsabilità in merito all'accaduto. Non imputabile a Salvatore neppure la mancata iniziativa di farsi carico di dirimere la questione relativa alla titolarità del ponte, così che quest'ultimo venisse inserito nel catalogo delle opere di proprietà di ANAS. Un comportamento che - come si legge in sentenza - sarebbe estraneo alle competenze e ai poteri di Salvatore stesso, ma anche del tutto inesigibile. Il dirigente peraltro, avrebbe assunto il ruolo nel 2011, successivamente al distacco dei calcinacci dal ponte sulla sottostante SS36, episodio avvenuto nel 2007 e nel 2009. L'imputato per la Corte non avrebbe colpa neppure in relazione al comportamento adottato nel pomeriggio del 28 ottobre 2016 poichè la chiusura della SP49 spettava alla Provincia di Lecco. Da qui - in estrema sintesi - la decisione di assolvere Giovanni Salvatore per non aver commesso il fatto.
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Per quel che riguarda Andrea Sesana invece, pur essendo state accolte alcune tesi della difesa (rappresentata dall'avvocato Stefano Pelizzari) contenute nel ricorso, a detta dei giudici della V sezione penale della Corte d'Appello, sarebbe stato il continuo passaggio dei carichi eccezionali - autorizzato proprio dalla Provincia di Lecco - a produrre nel manufatto gravi criticità. Il transito del mezzo Nicoli non al centro della carreggiata come da prescrizioni, sarebbe stata la causa ultima in ordine al crollo del ponte. Per la Corte inoltre, Sesana non poteva non sapere che il cavalcavia era incapace di sopportare carichi non ordinari. Una volta assunta la posizione di garanzia nel 2011, il dirigente avrebbe dovuto impedire il rilascio dei permessi di transito ai veicoli pesanti; al contrario si sarebbe invece adeguato alla prassi del suo predecessore, l'ingegner Valsecchi.
Per quanto riguarda infine la gestione dell'emergenza, il funzionario alle dipendenze di Villa Locatelli sarebbe stato - a detta della Corte - nella piena facoltà di valutare le condizioni del ponte e dunque di disporre la chiusura al transito della SP49. Gli si rimprovera tuttavia di non essere intervenuto in loco o comunque di non essersi assicurato che l'indicazione data trovasse poi effettiva attuazione nell'opera dei cantonieri. Il comportamento di Sesana in quegli istanti precedenti il crollo del manufatto, avrebbe dunque tratto in inganno Salvatore e non viceversa, per i giudici della V sezione della Corte d'Appello. 
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Una posizione, quella del giovane dirigente della Provincia di Lecco, sovrapponibile a quella dell'ingegner Angelo Valsecchi, co-imputato nel processo e difeso dall'avvocato Edoardo Fumagalli. Nella sentenza di secondo grado a quest'ultimo viene riconosciuta una maggiore colpa rispetto al collega, in relazione soprattutto all'autorizzazione dei trasporti eccezionali e alla longevità del suo incarico in Provincia, che gli avrebbe consentito di conoscere in toto la storia e soprattutto le criticità del manufatto annonese. Differente dunque, il trattamento sanzionatorio nei confronti dei due; nel dispositivo, in relazione alla gestione dell'emergenza, gli viene imputato anche un disinteresse. Per la Corte infatti, il dirigente si sarebbe limitato ad una telefonata con Sesana; nulla più.
Nella sentenza - che ha altresì confermato il rigetto della richiesta di risarcimento avanzata dalla parte civile Codacons, come in primo grado - i giudici mettono infine nero su bianco che la riqualificazione del reato di omicidio colposo in omicidio stradale da parte del giudice Manzi sarebbe stata una forzatura. Se la revisione del Codice della strada è stata pensata per inasprire le pene nei confronti di quella che viene definita ''criminalità stradale'', il crollo di un ponte su una strada - pur avendo causato la morte di un automobilista di passaggio - non può configurare il reato di omicidio stradale, bensì quello di omicidio colposo.
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Assolto Salvatore, per Sesana e Valsecchi è arrivata la condanna a un anno e quattro mesi (con il beneficio della pena sospesa e della non menzione) e ad un anno e otto mesi rispettivamente, per i reati di omicidio colposo e crollo di costruzioni. Non doversi procedere invece per lesioni colpose, essendo intervenuta la remissione di querela da parte dei coinvolti, costituitisi in origine parti civili ma ''usciti di scena'' dal processo una volta formalizzati i risarcimenti. La Corte d'Appello ha comunque mitigato non poco le pene nei confronti dei due rispetto al primo grado di giudizio (tre anni e otto mesi per Valsecchi, tre anni per Sesana). Entrambe le difese però, puntavano all'assoluzione; lo scorso aprile, subito dopo la sentenza, era stato annunciato dai legali il ricorso in Cassazione che ora, con il dispositivo depositato e reso edotto alle parti, potrà essere preparato e presentato.
G.C.
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