Annone: il crollo del ponte approda in Cassazione. Sentenza attesa a marzo
Anche il terzo grado di giudizio è stato fissato. Il prossimo 11 marzo la Quarta Sezione della Corte di Cassazione, si esprimerà sul fascicolo penale legato al cedimento del ponte a scavalco della SS36, ad Annone di Brianza. Un episodio drammatico che, il 28 ottobre 2016, era costato la vita al civatese Claudio Bertini, mentre a bordo della propria autovettura stava facendo rientro a casa al termine della giornata lavorativa.
Il manufatto crollò sotto il peso dell'autoarticolato che lo stava attraversando, per recarsi - tramite la SP49 - nella vicina zona industriale di Cesana Brianza. Furono attimi surreali, quasi impossibili da raccontare: la viabilità lungo una delle arterie più trafficate del territorio, si fermò per lasciare spazio all'intervento di decine di soccorritori e delle forze dell'ordine.
Oltre all'unica vittima, furono diverse le persone rimaste ferite in quell'improvviso crollo, oggetto di un'indagine penale aperta poche ore più tardi dall'allora procuratore capo Antonio Chiappani, insieme al sostituto Nicola Preteroti.
Nell'aprile 2024 la Corte di Appello di Milano - nella persona dei giudici Francesca Vitale, Ilaria De Magistris e Cristina Ravera - ha parzialmente ribaltato la sentenza pronunciata nel settembre 2021 dal giudice in ruolo monocratico del Tribunale di Lecco, Enrico Manzi. Assolto Giovanni Salvatore di Anas; confermate invece le condanne dei due dirigenti della Provincia di Lecco, seppur ridimensionate in maniera significativa rispetto al giudizio di primo grado. Un anno e quattro mesi (con il beneficio della pena sospesa e della non menzione) ad Andrea Sesana e un anno e otto mesi a Angelo Valsecchi. Durante la requisitoria la pubblica accusa aveva chiesto la condanna di tutti e tre gli imputati alla pena di un anno e sei mesi.
Nel dispositivo la Corte d'Appello aveva modificato la contestazione attinente l'omicidio stradale riqualificandola in omicidio colposo, vale a dire l'originario capo di imputazione per cui si era proceduto nei confronti degli imputati presso il Tribunale di Lecco. I quattro dovevano difendersi - a vario titolo - anche dei reati di lesioni, disastro colposo, crollo di costruzioni. Nella sentenza quest'ultimo capo di imputazione era stato riqualificato in omicidio stradale; una scelta - quella del giudice - assunta per raddoppiare i termini di prescrizione dei reati, rischio che incombeva sin dall'avvio del procedimento penale di primo grado.
Il vero ''colpo di scena'' della sentenza pronunciata a Milano riguardava la posizione di Giovanni Salvatore; per i giudici della Corte d'Appello andava esclusa la responsabilità penale in capo all'imputato, in quanto egli non risultava titolare di una posizione di garanzia in relazione al ponte. Il ponte, seppur gestito da ANAS, non era censito nel catalogo delle opere della società (ne avevamo parlato QUI).
Pur ritenendosi parzialmente soddisfatto per la significativa riduzione della pena e per l'ottenimento dei doppi benefici di legge, l'avvocato Stefano Pelizzari - che sin dall'inizio dell'indagine giudiziaria aveva assunto la difesa dell'ingegner Andrea Sesana - aveva annunciato il ricorso in Cassazione. ''E’ un processo che solo per la difficoltà delle questioni giuridiche che lo caratterizzano merita il vaglio della suprema corte'' ci aveva detto il legale, annunciando l'intenzione di giungere sino al terzo grado di giudizio per arrivare all'assoluzione del proprio assistito.
Una posizione condivisa dall'avvocato Edoardo Fumaglli, difensore di Angelo Valsecchi, all'epoca dei fatti responsabile del settore viabilità e lavori pubblici della Provincia di Lecco.
In primo grado, come si ricorderà, il giudice Manzi aveva condannato Valsecchi a tre anni e otto mesi; a tre anni il collega Andrea Sesana, dipendente del medesimo ufficio e a tre anni e sei mesi a Giovanni Salvatore, dirigente di Anas, titolare dell'arteria scenario del drammatico incidente che costò la vita al civatese Bertini. Era stata assolta invece, Silvia Garbelli, dirigente della Provincia di Bergamo che rilasciò, una manciata di settimane prima del crollo, l'autorizzazione all'azienda Nicoli, proprietaria dell'autoarticolato sotto il peso del quale il cavalcavia annonese collassò. La funzionaria dunque, era di fatto uscita di scena.
Non resta che attendere il prossimo 11 marzo per capire come si esprimerà la Suprema Corte nell'ambito di una vicenda che, ormai quasi due lustri fa, ha scosso l'intero territorio. La sentenza è attesa già in quella data.
Il manufatto crollò sotto il peso dell'autoarticolato che lo stava attraversando, per recarsi - tramite la SP49 - nella vicina zona industriale di Cesana Brianza. Furono attimi surreali, quasi impossibili da raccontare: la viabilità lungo una delle arterie più trafficate del territorio, si fermò per lasciare spazio all'intervento di decine di soccorritori e delle forze dell'ordine.
Oltre all'unica vittima, furono diverse le persone rimaste ferite in quell'improvviso crollo, oggetto di un'indagine penale aperta poche ore più tardi dall'allora procuratore capo Antonio Chiappani, insieme al sostituto Nicola Preteroti.
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Il vero ''colpo di scena'' della sentenza pronunciata a Milano riguardava la posizione di Giovanni Salvatore; per i giudici della Corte d'Appello andava esclusa la responsabilità penale in capo all'imputato, in quanto egli non risultava titolare di una posizione di garanzia in relazione al ponte. Il ponte, seppur gestito da ANAS, non era censito nel catalogo delle opere della società (ne avevamo parlato QUI).
Una posizione condivisa dall'avvocato Edoardo Fumaglli, difensore di Angelo Valsecchi, all'epoca dei fatti responsabile del settore viabilità e lavori pubblici della Provincia di Lecco.
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Non resta che attendere il prossimo 11 marzo per capire come si esprimerà la Suprema Corte nell'ambito di una vicenda che, ormai quasi due lustri fa, ha scosso l'intero territorio. La sentenza è attesa già in quella data.
G.C.