A tu per tu con Lucio Caracciolo

E' sempre un piacere sentire ed apprezzare un intervento di Lucio Caracciolo, ma anche del suo ex collaboratore Dario Fabbri, che della materia geopolitica, applicata ai problematici fatti dell'oggi, sono ormai diventati i volti più conosciuti sui media.
Immaginare che dopo una delle sue chiare ed efficaci “lezioni” si possa pure interagire con alcune considerazioni e qualche interrogativo mi sembra possa essere, senza supponenza alcuna, esercizio utile oltre che possibile per qualsiasi cittadino in “ricerca del Giusto e del Vero”.
Più precisamente mi ricollego a questo suo intervento su “COME (CI) CAMBIA LA GUERRA E QUALI PROSPETTIVE DI PACE” (“Gli Usa si sono stancati di doversi occupare dell'Europa”)
https://youtu.be/ZGeoMk4orZ4?si=lpxIGqzOoAHYt3tr
Non entro ovviamente, anche per esigenze di brevità, in ogni sua specifica argomentazione (tutte interessanti e comunque da approfondire) limitandomi a quelle che mi sembrano essere le idee guida del suo più che competente pensiero analitico.
Innanzitutto condivido molto la preliminare esigenza come Popolo Italiano, ma valido anche per tutti gli altri Popoli, di interrogarci “su chi siamo” per poter agire con costruttiva razionalità nel complicato mondo attuale.
Solo che, e qui sta già l'essenza di un primo possibile pensiero immediatamente collegato, oltre a dover sapere “chi siamo” occorrerebbe, perlomeno a mio avviso, sapere ciò che vogliamo essere.
Cerco di spiegarmi seguendo la successione delle sue pur sintetiche argomentazioni che ovviamente invito direttamente a visionare per comprendere al meglio il suo pensiero.
Su cosa voglia dire essere oggi Italiani (o in questo caso Francesi, visto il contesto specifico del convegno) riconoscendo, come Caracciolo fa, di appartenere a Paesi Europei in passato tutti “imperialisti” ( ne fa un impeccabile elenco) ci mette di fronte ad una prima ed ineludibile opportunità di auto-giudizio storico e conseguente interrogativo: ai giorni nostri vogliamo perseguire logiche pur mascheratamente ancora “neocoloniali”, magari appoggiandoci a “protettori atlantici”, o vogliamo realmente configurare le nostre partnership coi cosiddetti “Paesi in via di sviluppo” ( mai definizione suona così ipocrita visto il permanere di rapporti di forza diseguali con i cosiddetti “sviluppati”) all'interno di un sistema multilaterale di governo mondiale ( ad esempio una rinnovata e più efficace ONU) basato su pari ed effettivi diritti dei vari Popoli?
Si parla tanto di “Piano Mattei” ma siamo disposti a “concedere” ad esempio ai Paesi Africani condizioni realmente più eque di scambio commerciale rompendo gli attuali e svantaggiosi rapporti di forza che gravano sulle loro economie? Gli stessi asimmetrici rapporti che avevano non casualmente decretato (visto che un po' enfaticamente lo si cita) la morte di Enrico Mattei, avendo lui cercato di metterli in discussione?
E riguardo la presa d'atto, più che doverosamente sollecitata non solo da Caracciolo, che siamo come “bianchi” ormai solo il 10% della popolazione mondiale fa o no da contraltare un assai auspicabile e rinnovato rispetto delle giuste esigenze degli altri che ne costituiscono la stragrande maggioranza?
Un rispetto effettivo che riconosca loro, finalmente all'alba del terzo millennio, un indiscutibile ruolo di interlocuzione, a partire dai cosiddetti BRICS, all'interno di un dialogo basato su pari dignità culturale e politica e non solo dettata dal peso commerciale o militare?
In questo contesto è ancora sostenibile un livello di consumo indiscriminato di risorse di pochi a scapito di molti (tra Paesi ma anche all'interno di essi) alternativo ad un più che auspicabile equilibrio redistributivo con relativi innegabili effetti positivi ambientali, sociali ed economici per tutti?
A questo riguardo come non soppesare l'ipocrisia degli Usa che “ si sono stancati di doversi occupare dell'Europa” ma anche di fare, come in molti sostengono il “gendarme del mondo”?
Lo dico in modo volutamente retorico: Era solo un “servizio” disinteressato al pianeta o un mezzo per suggellare zone d'influenza e imporre il loro modello di “civiltà”, pur formalmente ed apprezzabilmente democratico, e soprattutto per assicurare il benessere ai propri cittadini, spesso basato sullo spreco come del resto quello europeo, a scapito di quello degli altri popoli?
Un altro aspetto che mi sembra perlomeno opinabile delle argomentazioni di Caracciolo, legato sempre alla pur giusta esigenza di “sapere chi siamo”, deriva dal fatto che è ben difficile poter costruire concretamente una vera e propria coscienza “culturale” uniforme di tutti gli appartenenti ad un unico popolo o nazione, basti costatare le differenze interne agli stessi Stati. Differenze che provengono da vari fattori storici e che si sono temporalmente stratificate nel corso di vari conflitti, migrazioni e quant'altre variabili rendendo non solo problematica ma forse anche non auspicabile la prevalenza omogenizzante di una identità sulle altre proprio in ragione dei corsi e ricorsi della Storia e dei confini spesso variabili a misura delle convenienze dei più forti.
Ben più giusta e augurabile sarebbe, pur tenendo in doverosa e primaria considerazione gli aspetti peculiari di ogni popolo attualmente residente, una convivenza anche eterogenea dove le diversità rappresentino un fattore di crescita comune pescando nelle parti migliori di ogni cultura che non possa che avere alla propria base il rispetto di pari diritti e doveri riconosciuti ad ogni essere vivente.
E' qui che la “Politica” (quella con la P maiuscola) e non le convenienze economiche e di “potenza”, dovrebbe giocare il suo vero e insostituibile ruolo equilibratore riducendo in primis le disuguaglianze tra gli Stati ma anche al loro interno.
Con uno slogan si potrebbe sintetizzare così: meno competizione e più cooperazione a tutti i livelli!
L'esatto contrario di quello che stiamo registrando in crescendo.
In questa direzione Caracciolo ben sottolinea l'importanza del non fermarci a “come noi vediamo noi stessi” ma come invece, per tenerne conto, siamo percepiti dagli altri sottolineando che l'Occidente è visto, con non poche ragioni a sostegno, come un prevaricatore dalle altre realtà planetarie.
In particolare occorrerebbe che proprio gli Usa passassero da una “autoreferenzialità di potenza” ad una coscienza del “rapporto di relazione” e interdipendenza con gli altri come evidenziato anche da Caracciolo.
Quindi ne deriva , a mio avviso, un richiamo a non correre il rischio, peraltro molto attuale, di non alimentare un iper-nazionalismo e un sovranismo più che mai forieri di tragici catastrofici eventi.
Il valente esperto illustra poi pur brevemente nel video una serie di caratteristiche ed opportunità dei vari Stati e delle potenze regionali e planetarie su cui costruire possibili scenari futuri.
Quello che però mi pare particolarmente significativo è il passaggio in cui Caracciolo in qualche modo esorta, contro i venti di una nuova sfrontata, cinica e prepotente logica imperialista ( che io identifico soprattutto in Trump, Putin e Natanyahu), ad utilizzare in particolare nei confronti dell'attuale contraddittoria leadership Usa anche un'arma “morale” dagli effetti dissuasivi perlomeno d'immagine, così importante in tempi di comunicazione di massa. Quella incentrata sul fatto che siamo tutti paesi occidentali, magari con interessi diversi, ma congiuntamente radicati in una Storia e in alcuni valori che dovrebbero essere irrinunciabili e che se perdiamo questo senso della cultura e misura comune rischiamo di compromettere la legittimità stessa delle nostre Istituzioni oltre che di quelle planetarie.
Dice pure che ancor prima delle Istituzioni ci sono ciò che definisce (da parte mia non meglio identificate) “regole del gioco”. Su questo mi si permetta una pur breve disgressione: se queste “regole” fossero quelle dettate dal tipo di Mercato e soprattutto dalla turbo-finanza attuale, certamente quantomeno concausa della pericolosissima situazione che si è da tempo creata, non solo sarebbe ingiusto “premetterle” alle Istituzioni ma occorrerebbe semmai riportarle al loro ruolo originale di mezzo e non fine di una Convivenza Civile Planetaria degna di tale nome.
E sempre a proposito di ruoli “costitutivi” e limitandomi a ciò che mi pare essenziale (ci sarebbe molto altro da dire): E' solo un rinnovato ruolo della Politica (partendo ovviamente dall'analisi, così ben argomentata da Caracciolo che tenga conto di tutte le concrete caratteristiche dei rapporti di forza attuali) che a tutti i livelli sappia realmente coniugare l'oggettiva interdipendenza tra gli Stati, secondo principi e soprattutto prassi egualitarie al servizio di un comune destino, che si potrà progressivamente mutare in meglio una situazione che, in caso contrario, non potrà che sfociare nell'autodistruzione. 
Se questa non si possa definire come lungimirante eppur assai contingente concretezza non so quale altra considerazione si potrebbe ritenere tale.
Del resto come si può definire sicuro e soprattutto realmente umano un contesto planetario dove 1200 persone posseggono ricchezze equivalenti a quelle di altri 4 miliardi di persone e dove il 4% della popolazione mondiale consuma il 44% delle risorse del pianeta?
Queste sono e rimangono le vere frontiere della sfida di Civiltà su cui le élite ma anche noi Cittadini del mondo, ancor prima che Italiani, dovremmo misurare il nostro reale agire anche quotidiano. Altro che la guerra dei dazi o qualsivoglia altra logica separatista che sta producendo morti ed ingiustizia al di là di ogni possibile retorica nazionalistica. 
E anche tutta la possibile e pur utile geopolitica interpretativa derivata dalla Storia dei Popoli se non tenesse conto del monito pur universale di un Presidente Partigiano come Sandro Pertini” Non ci può essere vera Libertà senza Giustizia Sociale” finirebbe col costituire un pur involontario alibi alla semplice costatazione del peggior esistente.
Del resto nella stessa direzione è stata spesa l'intera esistenza di un indimenticabile Papa Francesco che ha saputo coniugare magistralmente l'Amore per Dio con quello per l'Uomo. 
Germano Bosisio
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