Riti, usanze, storie e leggende della nostra Brianza viaggio nella cultura popolare del territorio lecchese
La religiostà è un aspetto fondamentale della cultura popolare brianzola, e forse è l'unica autentica forma di cultura popolare che la Brianza abbia mai avuto. Il rito, per secoli, ha sottolineato tutte le tappe fondamentali della vita dell'uomo, dalla nascita alla morte. Si tratta di riti che spesso possiamo definire magico-religiosi, perchè anche se sono profondamente segnati dal cattolicesimo, ricordano usi e credenze magici ben più antichi del cristianesimo. Nella sua secolare lotta contro i residui pagani e magici la Chiesa, anzichè cancellare riti e credenze troppo profondamente radicati, si è prodigata per un loro inserimento armonioso nella cultura cristiana. Il territorio del casatese e dell'oggionese non fanno eccezione, e ancora oggi si può trovare traccia di questi riti, religiosi e non, e di queste usanze.
IL ROSARIO
E' la preghiera forse più cara alla religiosità contadina, anche se veniva recitata in maniera distratta, dopo una faticosa giornata di lavoro e poco prima della veglia. Spesso si intrecciava a chiacchere e pettegolezzi, ma il solo presenziarvi era considerato un atto irrinunciabile, mentre allontanarsi senza necessità durante la recitazione comportava per la credenza popolare l'incontro con il maligno. Si narrava infatti di un uomo che, ogni qualvolta veniva recitato il rosario, si allontanava dalla stalla per recarsi altrove. Una notte sentì sulla spalla una bestia pesante e dall'alito pestilenziale; capì che era il diavolo, e subito si convertì al rito del rosario. La preghiera del rosario e il rosario stesso spesso si trasformavano in una formula magica ( Dè la curuna ), usata come un esorcismo, o in un talismano che bastava tenere in tasca per sentirsi protetti.
IL NATALE
Si trascorreva in casa e in famiglia, uscendo solo per andare a messa, e stando per il resto della giornata seduti a tavola. Il pranzo di Natale conferiva infatti poteri magici ai cibi. Il mal di gola poteva essere tenuto a bada per tutto l'anno mangiando il panettone (rigorosamente avanzato a natale) il giorno di S. Biagio. A Natale si dava agli animali della stalla un pezzo di pane perchè restassero sani tutto l'anno, e alle galline un pò di risotto con la salsiccia perchè facessero più uova. Per tutta la giornata veniva fatto ardere sul camino un grosso ceppo, del quale poi veniva conservato un tizzone che sarebbe poi servito in estate e primavera per scongiurare i temporali, oppure per accendere il fuoco nei bracieri che riscaldavano i locali d'allevamento dei bachi da seta, per proteggerli.
LA GIUBIANA
Si celebrava l'ultimo giovedì di gennaio, e consisteva nel bruciare pubblicamente un fantoccio di paglia rivestito di stracci e con le calze rosse. Stava a rappresentare il negativo (la brutta stagione), che bruciava e preparava la bella stagione sotto i migliori auspici. Anche oggi chi ha un orto a gennaio brucia erbacce e sterpi per preparare il terreno al nuovo anno. I bambini giravano per i paesi facendo baccano e cantando, mentre per le ragazze la festa assumeva contorni un pò più inquietanti: la Giubiana infatti aveva il potere di indicare loro se avrebbero trovato un marito o meno. Il rito consisteva nel lasciare fuori dalla porta, il mattino della festa, una loro "pianella", una calzatura brianzola. Se la Giubiana "girava" la calzatura verso l'esterno, vuol dire che la ragazza avrebbe trovato presto marito.
IL CRISTE'
I ragazzini del paese, in gruppetti di tre o cinque, portavano il "Cristè"( una corona di rami intrecciata in cima ad un bastone) in tutte le case perchè fosse beneaugurante per l'allevamento dei bachi da seta. Ai bambini venivano poi donati dolciumi, uova o qualche soldo, come succede nella più moderna festa di Halloween, di cui il Cristè sembra essere antenato.
I SANTI E I MORTI
Il culto dei santi e quello dei morti sono strettamente collegati fra loro secondo la dottrina cattolica. Molte credenze riferite ai morti si riallacciavano a una concezione dei defunti e dell'aldilà tipicamente pagana. Come testimoniato ad esempio dalle iscrizioni della cappelletta di Missaglia, i defunti parlano ai vivi, li invitano alla preghiera e li ammoniscono sulla caducità della vita. In Brianza era consuetudine chiedere aiuto ai morti in tutte le difficoltà e in tutti i pericoli, e in particolare la potenza del morto era evocata in connessione con l'acqua; il morto può infatti concedere la pioggia o rendere miracolosa una fonte. I defunti più potenti sono molto spesso le vittime di epidemie, ossia quelli "del contagio".

Sempre a Missaglia, di fronte al parcheggio del cimitero, c'è un tempietto votivo sul quale si legge: "Cimitero dei morti del contagio". Figure e parole propongono ai passanti un'occasione per riflettere sulla propria fine e sulla necessità di esservi sempre preparati.
I MORTI DELL'AVELLO

con i panni legati ai fusti degli
alberi per scongiurare le malattie
A Bulciaghetto, al centro del rito, c'è un masso erratico scavato a forma di tomba, al centro di riti magico-religiosi già nei secoli scorsi. Fin dal 1600 l'autorità ecclesiastica di Bevera era intervenuta per condannare i rituali che vi si compivano, e oggi il masso è inaccessibile, chiuso nel giardino del parroco. L'acqua contentuta nell'avello, era ritenuta, fino alla fine degli anni ottanta, miracolosa, in grado di guarire o di scongiurare le malattie. C'era chi ne beveva o chi ci si bagnava. E chi, secondo un rito che è proseguito fino agli anni '90, vi immergeva un panno che poi legava ai fusti delle piante intorno, esprimendo un desiderio o una preghiera, il più delle volte contro le malattie, in particolare la pertosse.
STORIE E LEGGENDE DI FIGURE MAGICHE E STREGONESCHE

Nel folklore brianzolo non mancano figure fantastiche e terrificanti, alle quali venivano attribuiti alcuni dei misfatti che l'uomo doveva subire. In primo piano la "Gamba rossa", associata alla Giubiana, o anche ad una non meglio identificata "Vegia dala gamba rùsa". C'è poi la storia di Caterinèn, che nel casatese diventa Maddalena, che esce di sera in pieno inverno, con la nebbia, per andare a prendere la legna al cassotto con le amiche. Dopo che tutte le compagne sono tornate a casa, la mamma di Maddalena esce a cercarla nel bosco vicino, urlando a squarciagola, fino a quando trova la figliola, appesa ad un albero e completamente squoiata. In alcune versioni, l'autrice del gesto è la Giubiana, che infierisce sulla madre della giovane urlandole "Maddalena l'ho pelada!". Oltre alla Giubiana, o alla Gamba rossa, c'è anche la storia del "fuièn", una sorta di folletto che secondo la tradizione popolare faceva impazzire le donne con dispetti più o meno crudeli, dall'intrecciare le code dei cavalli a rovesciare le pentole. Una versione particolare della Gamba rossa è la "Mano nera". La storia sembra essere originaria di Valaperta e Maresso, e veniva raccontata ai bambini per far si che da Maresso, sede dell'oratorio, non perdessero tempo a giocare tornando a Valaperta, attraverso i boschi. Si diceva infatti che la Mano nera, una volta afferrato un bambino, non lo avrebbe mai più lasciato andare.
Matteo Perego