Viganò: il paese di una volta ''rivive'' nelle storie degli ospiti della casa di riposo Nobili
C’era una volta Viganò. Un paese umile, fatto da gente forte e dedita al lavoro nelle campagne, dove tutti conoscevano la vita di tutti e dove il ritmo delle giornate era scandito dai rintocchi del campanile della Parrocchia di San Vincenzo.
Tempi ormai lontani che hanno ceduto il passo al progresso, alle fabbriche e ai capannoni artigianali, a una Viganò dove i campi hanno lasciato spazio al cemento modificando irrimediabilmente quel clima rurale che si respirava già sulla piazza della chiesa, tra i filari degli alberi da frutto e i prati che digradavano verso le colline.
Depositari dei ricordi di questa Viganò dei tempi passati sono oggi gli anziani del paese, testimoni in prima persona degli sconvolgimenti subiti dal paese nell’ultimo secolo e depositari di un incredibile bagaglio di cultura popolare fatta di storie, leggende, aneddoti e ricordi.

Per non dimenticare, per non lasciar scorrere via questi frammenti di una vita contadina ormai lontana abbiamo incontrato alcuni di questi depositari, oggi residenti presso la Casa di riposo Fondazione Nobili di Viganò.
Uomini e donne che sarebbe irriguardoso e riduttivo definire “anziani”, tali soltanto sulla carta di identità e ancora giovani nella voglia di raccontare, di comunicare frammenti di vita vissuta ed episodi che hanno contribuito a plasmare la forma attuale del paese.
Infranta la prima barriera di timidezza, questi ospiti con l’animo da “ragazzi” e “ragazze” hanno preso a raccontarci numerosi aneddoti legati alle tradizioni contadine.
“All’epoca in tanti coltivavano l’uva e finita la stagione della raccolta si andava tutti i pigiarla al torchio dell’osteria dei Berzoi, lungo l’attuale via della Vittoria – ricorda la signora Eleonora – si pigiava con i piedi e spesso noi bambini eravamo ben felici di dare una mano. Da un rubinetto usciva il mosto con il quale si ricavava il Pincianell”. Un vino povero, ottenuto da uve popolari e ben lontano dalle etichette rinomate oggi in commercio a prezzi non esattamente da “discount”.

L’uva più ricercata veniva invece “importata” dal Piemonte a mezzo di costosi viaggi in camion, come ricordato dalla signora Rosetta: “ricordo che i miei genitori portavano in paese uva bianca proveniente dal Piemonte, di solito insieme a qualche oca. Si faceva il vino e lo si vendeva, le uve del posto servivano invece a produrre il Pincianell e il Nustranell, più popolari”.
Ricordi di vecchie vigne sono arrivati anche da Maria di Olgiate Molgora, da Carla di Missaglia e da Carla di Cremella: “le viti erano spesso coltivate per delimitare i campi, oppure sorgevano sulle rive. Oggi purtroppo si è persa questa tradizione, dove una volta c’erano i campi coltivati oggi ci sono le ville. Quando eravamo piccoli le famiglie si accontentavano di poco, non c’era niente e si era lo stesso contenti: oggi tutti sono ricchi rispetto ad allora, tutto è diverso”.

Storie e ricordi che si intrecciano con la vita del paese, lungo i decenni passati e gli eventi della storia nazionale. Un patrimonio orale importante e da valorizzare, per non perdere di vista la storia locale e le radici di questa piccola comunità della Brianza.
Tempi ormai lontani che hanno ceduto il passo al progresso, alle fabbriche e ai capannoni artigianali, a una Viganò dove i campi hanno lasciato spazio al cemento modificando irrimediabilmente quel clima rurale che si respirava già sulla piazza della chiesa, tra i filari degli alberi da frutto e i prati che digradavano verso le colline.
Depositari dei ricordi di questa Viganò dei tempi passati sono oggi gli anziani del paese, testimoni in prima persona degli sconvolgimenti subiti dal paese nell’ultimo secolo e depositari di un incredibile bagaglio di cultura popolare fatta di storie, leggende, aneddoti e ricordi.
Per non dimenticare, per non lasciar scorrere via questi frammenti di una vita contadina ormai lontana abbiamo incontrato alcuni di questi depositari, oggi residenti presso la Casa di riposo Fondazione Nobili di Viganò.
Uomini e donne che sarebbe irriguardoso e riduttivo definire “anziani”, tali soltanto sulla carta di identità e ancora giovani nella voglia di raccontare, di comunicare frammenti di vita vissuta ed episodi che hanno contribuito a plasmare la forma attuale del paese.
Infranta la prima barriera di timidezza, questi ospiti con l’animo da “ragazzi” e “ragazze” hanno preso a raccontarci numerosi aneddoti legati alle tradizioni contadine.
“All’epoca in tanti coltivavano l’uva e finita la stagione della raccolta si andava tutti i pigiarla al torchio dell’osteria dei Berzoi, lungo l’attuale via della Vittoria – ricorda la signora Eleonora – si pigiava con i piedi e spesso noi bambini eravamo ben felici di dare una mano. Da un rubinetto usciva il mosto con il quale si ricavava il Pincianell”. Un vino povero, ottenuto da uve popolari e ben lontano dalle etichette rinomate oggi in commercio a prezzi non esattamente da “discount”.
L’uva più ricercata veniva invece “importata” dal Piemonte a mezzo di costosi viaggi in camion, come ricordato dalla signora Rosetta: “ricordo che i miei genitori portavano in paese uva bianca proveniente dal Piemonte, di solito insieme a qualche oca. Si faceva il vino e lo si vendeva, le uve del posto servivano invece a produrre il Pincianell e il Nustranell, più popolari”.
Ricordi di vecchie vigne sono arrivati anche da Maria di Olgiate Molgora, da Carla di Missaglia e da Carla di Cremella: “le viti erano spesso coltivate per delimitare i campi, oppure sorgevano sulle rive. Oggi purtroppo si è persa questa tradizione, dove una volta c’erano i campi coltivati oggi ci sono le ville. Quando eravamo piccoli le famiglie si accontentavano di poco, non c’era niente e si era lo stesso contenti: oggi tutti sono ricchi rispetto ad allora, tutto è diverso”.
Storie e ricordi che si intrecciano con la vita del paese, lungo i decenni passati e gli eventi della storia nazionale. Un patrimonio orale importante e da valorizzare, per non perdere di vista la storia locale e le radici di questa piccola comunità della Brianza.
A. M.