RACCONTI DALLA VILLA/2: Arlene ''di Piombo'', inno alla resilienza e alla ricerca di sè

Prosegue la rubrica ''Racconti dalla Villa'', inaugurata nelle scorse settimane (recuperate l’introduzione QUI e il primo racconto QUI), con un nuovo testo di Irene Costamagna, accompagnato dalla nota di Francesca Maggioni, professoressa dell’istituto superiore Greppi di Monticello, dove studiano o hanno studiato gli autori delle storie.
Come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.

I curatori: Giulia Redaelli e Beniamino Valeriano

raccontivilla2_1.jpg (66 KB)

ARLENE DI PIOMBO – IRENE COSTAMAGNA
La mattina del 2 giugno del 1923, il cuore di miss Arlene si era fatto di piombo all’improvviso. Le costringeva lo stomaco in una morsa dolorosa e il respiro in una danza irregolare. Tutte le sue studentesse si erano accorte del cambio repentino nel suo atteggiamento. Era solita essere dolce e pacata, ogni mattina riempiva di fiori freschi il vaso sulla cattedra, la sua voce era leggera e non richiamava mai nessuno, anche perché era così benvoluta da tutti che le ragazze non si sarebbero mai sognate di disturbare la lezione. Ma al ritorno delle vacanze estive fu una sorpresa per tutte scoprire che il vaso non era stato riempito. Inizialmente si pensò a un trasferimento improvviso, ma in poco tempo scoprirono la nuova versione della donna. Niente più fiori, aveva detto, sono una distrazione! Ben presto le sue lezioni erano diventate un supplizio: sembrava essere infastidita anche dal rumore delle penne sulla carta, i richiami trovavano sempre un pretesto per essere lanciati e la mole di studio era diventata insostenibile. Nei corridoi si sentivano i bisbigli delle ragazze più grandi che raccontavano alle nuove studentesse com’era una volta, quando Miss Arlene era ancora solare e benvoluta. Non ci volle molto prima che le venisse affibbiato il soprannome Arlene di piombo, proprio per via del suo atteggiamento verso la vita. Prima era in grado di volare e di sollevare con sé il prossimo, ora era un’ancora che lo tratteneva al suolo.
Incuteva timore a tutti, anche al preside, che quindi la invitò a consultarsi con uno psicologo; dopo poche sedute lo psicologo la rimandò a un amico psichiatra il quale, non sapendo che pesci pigliare, le consigliò un ginecologo; il ginecologo le diede il contatto di un oculista; dopo l’oculista venne il fisioterapista e dopo di lui un oncologo e via così fino al cardiologo. Quest’ultimo la guardò attentamente, poggiò lo stetoscopio al petto della donna e intimò a miss Arlene di respirare a grande fiato. L’uomo sbiancò di colpo.  In tutta la sua carriera da medico non gli era mai capitato sottobraccio un caso del genere: non c’era nessun battito. Controllò ancora e ancora, poi di nuovo. Nell’incredulità totale la mandò a fare degli esami e questa volta la sorpresa fu ancora più grande: nemmeno c’era un cuore. Al sul posto c’era un buco, nero e profondo, un abisso nel petto. Con una tranquillità disarmante, fu proprio Miss Arlene a spiegare l’accaduto. A un certo punto il suo cuore era diventato così pesante da esserle insopportabile. Non riusciva a sostenerlo. Aveva provato a fare dei respiri più ampi, ma il macigno nel petto si faceva solo più opprimente e così aveva deciso di cavarselo fuori. L’operazione non aveva fatto male, disse. Anzi, appena se lo era strappato via si era sentita subito meglio. 
Ad ascoltarla giunsero molti dei medici dell’ospedale, che avevano piantato in asso i loro pazienti pur di ascoltare l’ultima novità, e chiesero a miss Arlene dove si trovasse ora il suo cuore. Lei fece spallucce e disse che lo aveva buttato, ma che tuttora poteva sentirlo battere in lontananza. Lo descrisse come un rumore sordo che rimbombava nelle sue orecchie fino al cervello, un eco destinato a rimanere rinchiuso nella sua testa. 
Si decise, poi, di chiamare un rinomato cardiologo francese, che soltanto per la sua presenza si fece pagare fior fior di quattrini. L’uomo visitò miss Arlene. Alzò un sopracciglio. Decise di ricontrollare per sicurezza. Non c’è dubbio, signori, decretò dopo il decimo controllo, si tratta di un rarissimo caso di corpumblicite acuta. Lo sgomento generale attraversò la stanza e tutti i medici iniziarono a fare supposizioni e a bisbigliare fra loro. La corpumblicite acuta era una malattia così rara che nella storia si erano documentati soltanto altri tre casi. Il cardiologo francese richiamò l’attenzione della sala. Se non possedeva un cuore, come faceva ad essere viva e vegeta lì davanti a loro? Non c’era dubbio che respirasse e che il suo corpo fosse caldo; quindi, come poteva Miss Arlene fare tutto ciò senza un cuore che portasse il sangue in ogni sua vena? La donna ascoltava a malapena, si era seduta in un angolino e aveva fissato il vuoto per tutto il tempo, non prestando attenzione agli studiosi che le lanciavano occhiate furtive. Il cardiologo francese le propose di iniziare uno studio più approfondito sulla sua malattia così da poterlo pubblicare in seguito. Lei accettò senza pensarci troppo. Gli studi non fecero grandi progressi, ma, se non altro, il cardiologo francese fece una discreta somma con la loro pubblicazione. 
Nel giro di sei mesi tutta l’Europa era venuta a sapere dell’esistenza di un caso clinico così particolare. Divenne così famosa che perfino il re di Spagna la invitò nella sua tenuta estiva, dove lui stesso le controllò il battito. Rise di gusto e non solo: rimase tanto deliziato dal carattere freddo e distaccato di Miss Arlene che decise di accoglierla in famiglia, proponendole un matrimonio con un lontano cugino, signore di quelle terre. Alla donna non importò più di tanto e accettò senza pensarci troppo. Una settimana dopo, il titolo in prima pagina di tutti i giornali di Spagna segnava a grandi lettere le nozze del cugino e di Arlene di Piombo. Inutile dire che la notizia fece scalpore. Inizialmente, il cugino si dimostrò disinteressato a lei, ma più il tempo passava più Miss Arlene iniziò a notare le piccole accortezze che l’uomo le riservava. Ogni volta che i loro occhi si incontravano lo sguardo del marito si addolciva e ogni volta che le loro mani si sfioravano l’altro arrossiva. “Allora questo è l’amore” pensò Miss Arlene. E per la prima volta dopo che aveva perso il suo cuore desiderò poter ricambiare i sentimenti dell’uomo. 
raccontivilla_3.jpg (71 KB)
Passarono mesi, poi stagioni, poi anni. Arlene non era invecchiata di un giorno, mentre il tempo aveva portato qualche ruga sul viso del marito. Il mondo si era dimenticato da un pezzo della sua esistenza e ora la donna passava le sue giornate a passeggiare nel giardino, a leggere in biblioteca e a imparare nuove lingue. Il re si fece vivo solo per dare la sua benedizione al battesimo di Sibilla, figlia di Arlene. La bambina era stata sottoposta a ogni sorta di esame, ma tutto sembrava nella norma: il suo cuore c’era, e funzionava anche. Ma c’era una cosa di cui Arlene si era accorta col passare del tempo: dal giorno della nascita di sua figlia poteva sentire il battito del suo cuore perduto sempre più forte, sempre più vicino. Anno dopo anno, quel ritmo cadenzato l’aveva seguita come un’ombra, restando in disparte, ma sempre presente. Ora c’erano dei momenti dove si faceva talmente forte che temeva di perdere un timpano. Come quando Sibilla cadde dalla bicicletta e batté la testa, o come quella volta in cui un biscotto era andato di traverso al marito, o come quando si guardava allo specchio e notava di essere sempre giovane dopo tanti anni. Prima saltava un battito e poi ritornava ad essere un ronzio di sottofondo. Ancora e ancora e ancora. Arlene si trovò a desiderare di poter invecchiare al fianco della famiglia. Il giorno del trentesimo anniversario di matrimonio l’uomo le chiese cosa desiderasse. Voglio un cuore, rispose. Senza pensarci, senza rimpianti. Vennero subito iniziate le ricerche per un cuore compatibile, ma nessuno sembrava poter reggere un petto che era stato vuoto per così tanto tempo. Si arrivò alla conclusione che l’unico cuore adatto fosse quello originale, ma anche la stessa Arlene si era dimenticata dove l’aveva gettato. E così passarono altri anni. 
Come c’era da aspettarsi, il marito morì prima di lei. Quando accadde Arlene avvertì il suo cuore essere trafitto da mille aghi. Il dolore fu così forte che si chiese se fosse ancora di piombo, se non fosse proprio dietro l’angolo. Il tempo guarisce ogni ferita, dice il proverbio, ma il tempo non scorreva per Arlene. La ferita non si rimarginò mai del tutto, ma per il bene di Sibilla la ignorò. La figlia si sposò con un brav’uomo e lasciò casa, dando alla donna molto tempo per pensare. Arlene si chiuse nella sua mente, si barricò nei ricordi dell’uomo che l’aveva amata. Li guardò da diversi punti di vista e si accorse che, forse, l’unico ad avere accortezze e ad arrossire non era lui. Forse, era stata in grado di amarlo anche senza un cuore, anche senza accorgersene. E quando giunse a quella conclusione pianse per la prima volta da quando aveva perso il cuore.
Sibilla ebbe dei figli, invecchiò e quando morì Arlene pianse così tanto che desiderò morire con lei. Ma quando il suo pianto si fece più silenzioso si accorse che anche il suo cuore aveva smesso di battere. Fra le lacrime controllò il petto della figlia: il cuore c’era, ma non funzionava più. Arlene lo riconobbe: era il suo.  Suo marito lo aveva ritrovato, ma lei lo aveva donato alla figlia. 
La sera del 2 giugno 2023 il cuore di Arlene tornò al suo posto, ma senza battere. Arlene di Piombo morì sapendo che non era stata la carne o il sangue a rendere lei, suo marito e sua figlia una famiglia, ma un cuore.

NOTA
Una trama surreale e simbolica, che immerge il lettore in un viaggio profondo e complesso attraverso il mondo delle emozioni umane, delle relazioni interpersonali e la ricerca della propria identità. Grazie auna prosa incisiva ed evocativa, Irene crea un’atmosfera densa e coinvolgente, che cattura l’attenzione fin dalle prime battute. 
Il titolo stesso, «Arlene di piombo», suggerisce un contrasto tra leggerezza e pesantezza, tra qualcosa di elegante, leggero, quasi etereo e qualcosa di opprimente, un fardello. Tale dualità, che carica la narrazione di tensione, riflette le sfide della protagonista nel confrontarsi con le aspettative sociali, i legami affettivi e le pressioni interiori, che talvolta ognuno di noi vive come prigioni. Inizialmente descritta come solare, appagata e apprezzata, la donna, infatti, cela dentro di sé un senso di oppressione e insofferenza che la porta a un atto estremo, la rimozione del suo cuore. Tale decisione, seguendo un impulso di liberazione, si manifesta quindi come un’azione di autodifesa contro il peso delle sue emozioni e delle conseguenze che queste hanno. La perdita del cuore fisico, per eccellenza simbolo dell’amore e dell’anima, la rende apparentemente impermeabile a qualsiasi emozione e incapace di connettersi in modo autentico con gli altri. La dolce e accogliente Arlene cede quindi il passo ad una figura grigia, austera, priva di empatia e trascinata dal suo cuore “di piombo” in un vortice di solitudine e sofferenza, sempre in bilico tra il desiderio di sentirsi viva e la vulnerabilità, la paura del dolore. Proprio quando la sua esistenza sembra irrimediabilmente avvolta dal velo dell’apatia, il sopraggiungere dell’amore le conferisce nuova luce, ledendo e poi squarciando definitivamente il velo. La relazione con il marito e soprattutto la nascita della figlia, infatti, guidano la protagonista verso una rinascita, conducendola alla consapevolezza che le connessioni emotive vanno ben oltre il semplice organo fisico e che l’amore ha un potere intrinseco di unione che trascende anche lo scorrere del tempo e l’avvicendarsi delle generazioni. 
«Arlene di piombo» è un inno alla resilienza, alla ricerca di sé e al potere curativo dell’amore, e ci costringe a riflettere sulla natura della nostra identità.

Francesca Maggioni

Per visualizzare la versione del racconto in PDF clicca QUI


LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.