Nibionno: il viaggio di Valerio Rigamonti alla ricerca dell'autenticità passando per Thailandia, Laos, Vietnam e Cambogia
L’ultima parte del suo viaggio, che va da febbraio a giugno di quest’anno, è dedicata alla scoperta di Thailandia, Laos, Vietnam e Cambogia, caratterizzati da storie diverse, ma accomunati da una predisposizione alla gentilezza e al rispetto, aliena alla maggior parte dell’India visitata da Valerio.
La Thailandia, in cui rimane dalla metà di febbraio fino alla metà di marzo, è il paese più occidentalizzato di quelli visitati: “le persone sono più abituate al turista, sono molto più rispettosi dei tuoi spazi e sanno come comportarsi. Lì ho trovato su Facebook uno dei pochi artigiani rimasti a eseguire a mano le maschere di Khon, gli ho scritto e sono andato a trovarlo. Parlavamo con Google Traduttore perché non sapeva una parola in inglese”, spiega Valerio.
Il Khon è una danza classica thailandese, prima reale, ora aperta anche al grande pubblico, in cui viene inscenata un’epopea nazionale; i ballerini indossano le maschere, spesse volte spaventose e finemente decorate, con materiali preziosi e ricami. La conversazione con l’artigiano sessantenne si sposta poi in un piccolo ristorante, in cui si protrae in modo semplice e meccanico, perché guidata da Google Traduttore, ma la felicità dell’uomo è reale, tanto che la figlia continuerà a ringraziare Valerio per essersi interessato al lavoro del padre. In Thailandia, la cortesia dei locali ti si appiccica addosso, tanto da essere “imbarazzante” alle volte: “ogni volta che interagisci con una persona locale ti fanno un inchino”. Bangkok gliel’avevano raccontata caotica, ma dopo aver passato tre mesi in India, a Valerio sembrava di essere arrivato in Svizzera.
Ed è proprio tra Bangkok, Sukothai, Chiang Mai e Chiang Rai, che Valerio scrive più abbondantemente sul suo diario, sulle sensazioni di solitudine, tristezza, imprevedibilità del futuro, sull’alternanza di estasi e crolli emotivi figli di un viaggio poco pianificato condotto da un ragazzo da sempre abituato a pianificare: “viaggiare forse è un po’ come scappare, è più semplice cambiare posto di continuo che affrontare la noia o la monotonia. Ma chi ha detto che sia sbagliato? La vedo come un’esperienza della vita, che non sarebbe completa se non ci fosse anche quella parte che qualche giorno ti deprime. Qualcuno direbbe che la vita è troppo corta e si può viaggiare tutta la vita, non lo so, per ora ho l’idea che prima o poi bisogna fermarsi e mettere le radici. Dipende dalla tua ambizione, ma per instaurare relazioni di vera fiducia duratura l’unica soluzione è costruirle nel tempo”, appunta sul suo diario il 25 febbraio.
Il tempo scorre veloce, Valerio incontra in Thailandia altri viaggiatori italiani, cinesi e statunitensi, accomunati dall’insoddisfazione verso i sistemi economici dei loro paesi natali e desiderosi di costruirsi un altro tipo di vita in un altro paese, o semplicemente intenti a trovare qualcosa che faccia loro battere il cuore e su cui impegnarsi.
Dopo la Thailandia, Valerio si sposta nel Laos, che racconta come un paese poverissimo, anche perché ha subito diversi bombardamenti durante la guerra del Vietnam da parte degli Stati Uniti, nonostante non fosse mai ufficialmente sceso in guerra. Sulla sua mappa segna che visiterà Pakbeng, Luang Prabang, Van Vieng, Nong Khiaw, Muang ngoy, Luang Namtha, Muang Sing e Muang Khua.
“È stato bello passeggiare in mezzo a questi villaggi nel mezzo del niente. L’inglese non lo parlava nessuno, quindi non sono riuscito a parlare molto con le persone locali”, racconta Valerio.
Più andava a nord più le persone sembravano povere e la sua sicurezza in quei posti cominciava vacillare. Nel Laos prova il loro whisky e i noodles, questi ultimi diventano il suo pasto abituale che comincia a stargli un po’ stretto. Dopo l’incontro con un toscano deciso a fare il giro del mondo in tre anni, decide anche lui di lasciarsi andare alla brezza dell’autostop: “Fare autostop è sì un modo per essere economici, ma anche per capitare in situazioni insolite in cui non capiteresti mai. L’umanità di quei momenti è una forza”, appunta sul suo diario il 4 aprile.
La macchia cromatica che Valerio ricollegherà sempre a questo paese è composta dal rosso e dall’arancione delle vesti che indossano i monaci bambini che ha incontrato diverse volte lungo il cammino: “nelle famiglie buddiste un giovane estratto a sorte deve percorrere la carriera monastica, almeno fino alla maggiore età, poi deciderà cosa fare. Sono ragazzi a cui piace giocare, vengono ‘indottrinati’, e fanno lavori utili per il tempio e la comunità. È un po’ una specie di collegio per loro. Non sapevano l’inglese e comunicare con loro è stato difficile anche con Google Traduttore. Non sapevano nulla dei villaggi attorno e l’unica cosa che capivano e continuavano a dire era ‘Manchester United’”, ripercorre Valerio a voce, mentre mi mostra una foto che ha fatto a questi bambini dall’aria distinta e gioiosa al tempo stesso.
In Vietnam cambia il paradigma del viaggio e la stella polare che lo spinge a cercare l’autenticità, la bellezza e ciò che c’è di umano, vulnerabile e vero sembra più facile da raggiungere. Dall’inizio di aprile all’inizio di maggio, passando per i centri di Sa Pa, Ha Giang, Hanoi, Nim Binh, Ho Ian, Da lat, Ho Chi Minh, Can Tho, Valerio ignora gli altri viaggiatori e passa più tempo con la gente del posto, dicendosi di avere più pazienza con i locali, di indugiare nelle situazioni scomode e scoprire le storie di queste persone uno strato alla volta. In Vietnam assiste a episodi di vita autentica, dall’andirivieni caotico della città di Hanoi, passando per le melmose risaie in cui lavorano uomini e donne, arrivando a vedere la tintura degli abiti nell’indaco. A fare da sfondo i tradizionali cappelli vietnamiti, quello conico fatto con le foglie di palma e quello a bombetta, solitamente associato ai Viet Cong.
Qui lavora in una scuola di inglese in cambio di vitto e alloggio, incontra bambini e ragazzi a cui dice che l’inglese può servire loro per viaggiare o per trovare un buon lavoro. In Vietnam i bambini studiano tutto il giorno, non hanno tempo per lo sport e per lo svago, ma allo stesso tempo il loro livello di inglese rimane basso. Muy, il gestore della scuola di inglese, si è indebitato per poterla aprire e renderla frequentabile al più alto numero possibile di studenti.
''Mi stupisce sempre quando persone con pochi mezzi riescono attraverso la determinazione a fare cose grandi'', appunta Valerio sul suo diario, grato per quell’incontro e fiero di sé stesso per non essersene andato subito, quando la situazione nella scuola di inglese gli sembrava fredda e distante. ''In Vietnam e in Cambogia ho avuto la sensazione di vivere la vita a pieno perché sono venuto e rimasto in contatto con la quotidianità di queste persone. Anche insegnando nella scuola di inglese si sono create situazioni intime con i locali, che mi ringraziavano e quando non lo facevano capivo dal loro sguardo che mi apprezzavano'', ha spiegato Valerio, ripercorrendo tappe e sensazioni del suo viaggio.
Infine, la Cambogia. Valerio, in una nazione giovanissima a causa del genocidio dello scorso secolo perpetrato da Pol Pot, che ha ucciso un terzo della popolazione cambogiana, incontra “le persone più belle”. Anche qui il giovane nibionnese si presta come insegnante di inglese e al suo diario l’8 maggio confida: “Mi piace insegnare, mi piace osservare tutti quei bambini e ricordarmi di com’ero e cosa facevo. Non lo farei full-time ma è una cosa in cui vedo molto valore, anche se inconsciamente la sminuisco per tutte quelle frasi del tipo ‘chi non sa fare insegna’, ma forse mi dovrei liberare di tutti questi pregiudizi stupidi”.
Più indisciplinati dei vietnamiti, i cambogiani si avvicinano anche di più a Valerio, come uomo in carne e ossa dalle fattezze diverse dalle loro. “Gli piace il nostro naso, pensano che il loro sia brutto. A me il loro piace, certo molto spesso è largo e corto, ma perché non dovrebbe essere bello un naso così?”, scrive sul suo diario, rammaricandosi di come l’egemonia culturale occidentale sia arrivata a plasmare gli ideali estetici di un popolo così lontano da noi. ''Guardano con curiosità i nei, loro non ne hanno molti, la pelle di questi popoli è liscia e immacolata, solo gli uomini sono segnati dall’acne con grandi solchi lungo il viso''.
In Cambogia vive situazioni di una gentilezza sfacciata, che lo sorprendono e lo fanno sorridere. Lo fermano per strada, si parlano con Google Traduttore, gli offrono le birre, gli alloggi e qualcuno, preoccupato perché non ancora sposato, prende le misure del suo anulare e gli prepara un anello di fidanzamento in argento e glielo regala. Qui cerca anche i campi dei minatori che estraggono zircone che una volta riscaldato diventa di colore blu. Le mani spesse scavano nella terra rossa che si sparpaglia sui loro vestiti e sulla loro pelle. Sono pagati a seconda di quante pietre trovano, il lavoro è durissimo, ma forse non tanto diverso dal lavorare nei campi, solo più pericoloso.
A metà giugno Valerio legge i titoli di coda del suo viaggio durato 214 giorni alla scoperta del Sud-est asiatico, alla ricerca di quell’autenticità che nella sua Brianza sembrava essere scomparsa, così com’era piena di sovrastrutture e decisioni prese per inerzia. Alla domanda “qual è l’eredità di questo viaggio?” Valerio risponde: “sicuramente sono in grado di adattarmi alle cose in modo assolutamente più naturale, ho imparato a limare le frustrazioni. Avevo bisogno di vedere e farmi contagiare da quanto amore c’è nel mondo e dalla bellezza degli sguardi delle persone. Penso che un viaggio non ti cambi, semplicemente accentua o tira fuori ciò che hai già dentro. Dopo questo viaggio sicuramente mi sento più libero di esprimere le mie emozioni, che prima invece reprimevo”.
Adrenalina, scoperta dell’incontaminato, incontro con la veracità; Valerio è tornato a casa verso la fine dello scorso giugno con una consapevolezza, raccontata a voce e impressa sul suo diario di viaggio: ''non importa quanto lontano andrò, Cibrone quel piccolo paese della Brianza rimarrà per sempre casa mia. I miei genitori, la mia famiglia sono la mia casa, il luogo dove so che posso tornare e dove tornare fa bene al cuore''.
Credit photo: Valerio Rigamonti