Cassago o Casciago? La Sant'Agostino replica alle osservazioni di Redaelli
Torna a suscitare interesse la vexata quaestio sulla permanenza, o meno, di Sant’Agostino a Cassago. Ovvero se il ''rus Cassiciacum'', luogo in cui il santo risiedette ospitato dall’amico Verecondo, sia individuabile nel territorio cassaghese oppure nella Casciago del varesotto come vorrebbero altri studi.
È la vexata quaestio tornata ad interessare gli appassionati di storia locale, e non solo, dopo la pubblicazione del libro “Agostino e la sua Arca a Pavia” e di un articolo apparso sul Corriere della Sera che riprendeva le tesi espresse nel volume. Entrambi questi scritti pongono il “rus Cassiciacum” nell’odierna Casciago.
Un punto di vista non condiviso dall’Associazione Sant’Agostino che ha esposto, sue queste colonne, le sue ragioni di segno opposto.
Osservazioni, a loro volta, non ritenute valide, da un punto di vista di indagine scientifica, dallo storico Davide Redaelli, cassaghese, ricercatore presso l’università di Udine che abbiamo intervistato negli scorsi giorni.
Oggi, con un nuovo comunicato che pubblichiamo integralmente di seguito, l’associazione Sant’Agostino, e il suo presidente Luigi Beretta, controbattono alle tesi di Redaelli:
L’associazione storico culturale S. Agostino desidera esprimere alcuni distinguo e correzioni relativi ad un articolo recentemente apparso su Casate on line che contesta l’identificazione di Cassago con il rus Cassiciacum agostiniano.
E’ comunque interessante notare che la vexata quaestio riesca ancora a suscitare una insperata attenzione. In queste ultime settimane c’è stato un proliferare di interventi, che fortunatamente ci stimolano ad una più ragionata riflessione e ad una esposizione più approfondita delle ricerche che in questo campo si sono sviluppate in secoli di studi. In tale contesto riteniamo doveroso e utile per il lettore introdurre le necessarie e molteplici rettifiche alle recenti affermazioni, imprecise se non errate, pubblicate nell’articolo-intervista al signor Redaelli presente su Casate online.
Che “nella realtà non esista nessuna soluzione effettiva a questo dilemma” è tutto da dimostrare, a meno che uno non si aspetti che ricompaia Agostino in persona per dirimere la questione.
Noi poveri mortali a distanza di secoli non possiamo fare altro che cercare di ricostruire il mosaico della storia mettendone insieme i tasselli che via via si scoprono, non trascurando di sottoporli a una necessaria e doverosa critica che ne valuti la congruità e la coerenza. Ma veniamo ai punti controversi.Incominciamo dalla lapide di Verecondo. E’ vero che la lapide IMO Verecundus è stata trovata a Valle Guidino e non a Cassago, ma è altrettanto vero che non possiamo pensare di far coincidere i possessi terrieri di questo Verecundus con i confini dei Comuni attuali. L’estensione del suo latifondo in età romana poteva ben svilupparsi oltre e su più Comuni. A che epoca risale la lapide? Abbiamo due indicazioni significative: è pagana e reca un solo nome. Diversamente da quanto scritto nell’articolo, i pagani nelle campagne ed anche in Brianza sopravvissero a lungo, ben oltre il 386-387 d. C. e nemmeno sono note persecuzioni locali nei loro confronti in questo periodo storico. Agostino non ne parla nei Dialoghi e neppure ci sono noti autori coevi che riferiscono di persecuzioni contro i pagani in Brianza. Ancora oggi si discute circa l’epoca in cui il cristianesimo dalle città si diffuse nelle campagne brianzole, se nel V o VI secolo. Il Verecondo amico e collega di Agostino, che nel 386-387 era pagano, possedeva una villa dove viveva tranquillamente e non risulta che fosse perseguitato.
Quanto all’impiego del solo cognomen, il suo uso divenne in Italia sempre più frequente dal 313 in poi, fino a raggiungere il 96% dei casi nel VI secolo. Dal V secolo appare dalle lapidi tombali di Roma e dell’Italia che le persone che hanno solo il cognomen sono ormai l’80%. (cfr. Nicoletta Francovich, Discontinuità e integrazione nel sistema onomastico dell’Italia tardo antica l’incontro coi nomi germanici).
Il cognomen Verecundus non è particolarmente diffuso ed è abbastanza strano e singolare che se ne sia trovato proprio uno vicino a Cassago. Non è una condizione sufficiente, certo, a riconoscere il rus Cassiciacum ma è una coincidenza perlomeno sospetta.
Passiamo ai resti romani e alle lapidi. Va chiarito che a Cassago non è stata scoperta la sola lapide che cita Redaelli, ma ne sono state trovare diverse. Quella di Marilla si trovava nella chiesa medioevale di S. Brigida d’Irlanda (citata nel XIII da Bussero), altre sono state trovate nelle fondazioni del Palazzo Pirovano Visconti, altre nei muri di cinta. Le hanno tutte trasportate a Cassago, come suppone il signor Redaelli? Da dove?
Anche le tombe che sono state trovate al Crotto, in via S. Marco, alla Pieguzza sono state portate a Cassago? E che dire delle due vasche di età romana scoperte alla Pieguzza abitualmente connesse a una villa rustica?
La realtà è che questi reperti sono a Cassago da secoli e non c’è stato alcun traffico di importazione di reperti archeologici. Tutto il materiale archeologico cassaghese, ed è veramente tanto, è stato semplicemente riscoperto durante lavori di scavo o di demolizione.
Dalle fondazioni del Palazzo Pirovano-Visconti sono emerse anche sarcofagi in pietra di età romana e addirittura una incisione dell’età del ferro. Durante i lavori di ristrutturazione del porticato e della sala del pellegrino sono emersi tegoloni romani e nel Parco rus Cassiciacum la Soprintendenza ha sospeso i lavori perché è stata rinvenuta della terra sigillata. Che dire?
Dobbiamo pensare che i Cassaghesi andavano in giro a rubare reperti romani per costruire le loro case? Crediamo proprio di no, perché già scriveva suo tempo il cardinale Federigo Borromeo, che visitò Cassago più volte, che “Inoltre questo Casissiacum il luogo che le parole dell'inclito Dottore celebrano, noi crediamo che sia Cassago. Sostengono la nostra congettura sia la natura del luogo, sia l'origine del nome, sia le testimonianze di vecchi edifici, sia le numerose vestigia di antichità''.
Interessante questa allusione alle numerose vestigia di antichità e la differenziazione con i vecchi edifici: interessante perché il Borromeo, che scrive nel primo Seicento, non era certo l’ultimo arrivato quanto a conoscenza del mondo romano.
Quanto alla fontana di sant’Agostino è assolutamente falsa l’affermazione del signor Redaelli che è un manufatto costruito dai cassaghesi negli anni Sessanta. Non si sa quando fu costruita, ma è certo che se ne parlava già dalla metà dell’Ottocento quale luogo di devozione verso Agostino. Durante i lavori per la realizzazione del parco storico-archeologico S. Agostino nel 1984-1986 si è scoperto che aveva anche un emiciclo laterale nascosto dalla superficie erbosa e un blocco di muro in coccio pesto. A fianco sono riaffiorate anche due camere che hanno restituito frammenti di vasi di ceramica medioevale.
Risalendo la china, indagini georadar hanno evidenziato la presenza sotto terra di mura e quasi appresso furono trovati tre tasselli di mosaico. Gli indizi, certo, sono sparsi, da soli dicono poco, ma se li mettiamo assieme incominciano a dire qualcosa. E che dire del culto a Cassago per Agostino? L’affermazione di Redaelli: ''Viene da chiedersi, come mai, dal 386 d.C. al 1600 la presenza di Sant’Agostino non sia stata oggetto di culto'' è stata sollevata più volte, ma senza una ragionevole motivazione. Perché? Perché i rari abitanti agricoltori analfabeti dell’anno 386-387 non solo hanno visto Agostino per poco tempo – non più di sette mesi -, ma neppure avranno saputo del suo battesimo e delle sue gesta in terra africana. Se poi aggiungiamo che erano quasi certamente pagani, che culto cristiano potevano mai far nascere?
Nella realtà dei fatti il ricordo del luogo è stato affidato nel medioevo alle pagine delle Confessioni, che ne citano il toponimo, e ai Dialoghi che raccontano che cosa vi successe. Chi nel milanese ne tentò l’identificazione, come già nel Quattrocento Tristano Calchi bibliotecario capo del Ducato, propose Cassago. E così è stato per gli scrittori successivi tra cui Giuseppe Ripamonti nativo di Tegnone, autore di una celeberrima Storia di Milano. Nel 1630 il parroco don Filippo Balsamo, nativo di Monticello e formatosi nei seminari milanesi di san Carlo, probabilmente riprese questa consuetudine e la portò a conoscenza dei fedeli nel periodo della peste. Nel Chronicon tuttavia aggiunge che nella chiesa parrocchiale medioevale si conservava una pietra legata alla figura di Agostino, che si trovava in un oratorio demolito nel 1613, dunque ben prima del miracolo della peste.Che dire poi della affermazione che “da un punto di vista linguistico, l’analisi depone più a favore di Casciago'' e che “tenendo conto che quest'ultimo nei documenti e negli atti risalenti ad alcuni secoli fa, veniva identificato con il nome di Cassiciago”?
In realtà i documenti medioevali prodotti dal prof. Stella relativi a Casciago, cui si riferisce Redaelli, riportano le dizioni Cascliago, Casclago, Castiagus, Castiacus, Casgiago e mai Cassiciago.
Piuttosto dovremmo sapere e ricordarci che nel XII secolo in un atto in cui vengono elencati i possedimenti di Pontida in Cassago, questo luogo viene indicato come Cassciago, con la perdita naturale della i mediana. Per assurdo se dovessimo stare pedissequamente ai criteri della sola linguistica, non ci sono dubbi: il Cassiciaco agostiniano si trova in Francia, dove sono molto diffusi toponimi come i nostro.
E’ ben evidente che la localizzazione del rus Cassiciacum non può affidarsi ad un unico criterio, ma deve trovare il supporto convergente e non contraddittorio di più piste di indagine. Quali devono essere i suoi requisiti, cioè le condizioni assolutamente necessarie? Il luogo deve essere stato abitato in epoca tardo romana, il luogo deve essere stato riconosciuto in qualche modo dalla tradizione milanese, il luogo deve trovarsi a una certa distanza da Milano (30-40 Km), il luogo deve avere i connotati ambientali descritti da Agostino (niente vista di laghi) e così via. Mettendo insieme tutti questi tasselli il mosaico prende forma e in attesa di trovare i resti della villa di Verecondo, come pretendono i più ostinati oppositori, possiamo riprendere le parole di don Rinaldo Beretta, primo serio storico briantino moderno, che nel 1947, prima ancora delle scoperte archeologiche, scriveva: “Ad ogni modo, chi oggettivamente e serenamente studia la questione non potrà fare a meno di convenire che, oggi come oggi, non si possono fare che delle supposizioni più o meno probabili, e che Cassago, conserva tuttora, se non la certezza, serii indizi di corrispondere al Cassiciaco agostiniano”.Quanto alla affermazione di Redaelli che le lettere inviate a Monsignor Luigi Biraghi nell’Ottocento sarebbero ''custodite dall’Associazione Sant’Agostino e non ho mai avuto l’occasione di consultarle'', si tratta di una bufala. L’Associazione non ha mai né custodito né avuto tali lettere. Al più c’è qualche lettera di mons. Biraghi in archivio parrocchiale, ma il loro contenuto non aggiunge nulla di nuovo.
È la vexata quaestio tornata ad interessare gli appassionati di storia locale, e non solo, dopo la pubblicazione del libro “Agostino e la sua Arca a Pavia” e di un articolo apparso sul Corriere della Sera che riprendeva le tesi espresse nel volume. Entrambi questi scritti pongono il “rus Cassiciacum” nell’odierna Casciago.
Un punto di vista non condiviso dall’Associazione Sant’Agostino che ha esposto, sue queste colonne, le sue ragioni di segno opposto.
Osservazioni, a loro volta, non ritenute valide, da un punto di vista di indagine scientifica, dallo storico Davide Redaelli, cassaghese, ricercatore presso l’università di Udine che abbiamo intervistato negli scorsi giorni.
Oggi, con un nuovo comunicato che pubblichiamo integralmente di seguito, l’associazione Sant’Agostino, e il suo presidente Luigi Beretta, controbattono alle tesi di Redaelli:
L’associazione storico culturale S. Agostino desidera esprimere alcuni distinguo e correzioni relativi ad un articolo recentemente apparso su Casate on line che contesta l’identificazione di Cassago con il rus Cassiciacum agostiniano.
E’ comunque interessante notare che la vexata quaestio riesca ancora a suscitare una insperata attenzione. In queste ultime settimane c’è stato un proliferare di interventi, che fortunatamente ci stimolano ad una più ragionata riflessione e ad una esposizione più approfondita delle ricerche che in questo campo si sono sviluppate in secoli di studi. In tale contesto riteniamo doveroso e utile per il lettore introdurre le necessarie e molteplici rettifiche alle recenti affermazioni, imprecise se non errate, pubblicate nell’articolo-intervista al signor Redaelli presente su Casate online.
Che “nella realtà non esista nessuna soluzione effettiva a questo dilemma” è tutto da dimostrare, a meno che uno non si aspetti che ricompaia Agostino in persona per dirimere la questione.
Noi poveri mortali a distanza di secoli non possiamo fare altro che cercare di ricostruire il mosaico della storia mettendone insieme i tasselli che via via si scoprono, non trascurando di sottoporli a una necessaria e doverosa critica che ne valuti la congruità e la coerenza. Ma veniamo ai punti controversi.Incominciamo dalla lapide di Verecondo. E’ vero che la lapide IMO Verecundus è stata trovata a Valle Guidino e non a Cassago, ma è altrettanto vero che non possiamo pensare di far coincidere i possessi terrieri di questo Verecundus con i confini dei Comuni attuali. L’estensione del suo latifondo in età romana poteva ben svilupparsi oltre e su più Comuni. A che epoca risale la lapide? Abbiamo due indicazioni significative: è pagana e reca un solo nome. Diversamente da quanto scritto nell’articolo, i pagani nelle campagne ed anche in Brianza sopravvissero a lungo, ben oltre il 386-387 d. C. e nemmeno sono note persecuzioni locali nei loro confronti in questo periodo storico. Agostino non ne parla nei Dialoghi e neppure ci sono noti autori coevi che riferiscono di persecuzioni contro i pagani in Brianza. Ancora oggi si discute circa l’epoca in cui il cristianesimo dalle città si diffuse nelle campagne brianzole, se nel V o VI secolo. Il Verecondo amico e collega di Agostino, che nel 386-387 era pagano, possedeva una villa dove viveva tranquillamente e non risulta che fosse perseguitato.
Quanto all’impiego del solo cognomen, il suo uso divenne in Italia sempre più frequente dal 313 in poi, fino a raggiungere il 96% dei casi nel VI secolo. Dal V secolo appare dalle lapidi tombali di Roma e dell’Italia che le persone che hanno solo il cognomen sono ormai l’80%. (cfr. Nicoletta Francovich, Discontinuità e integrazione nel sistema onomastico dell’Italia tardo antica l’incontro coi nomi germanici).
Il cognomen Verecundus non è particolarmente diffuso ed è abbastanza strano e singolare che se ne sia trovato proprio uno vicino a Cassago. Non è una condizione sufficiente, certo, a riconoscere il rus Cassiciacum ma è una coincidenza perlomeno sospetta.
Passiamo ai resti romani e alle lapidi. Va chiarito che a Cassago non è stata scoperta la sola lapide che cita Redaelli, ma ne sono state trovare diverse. Quella di Marilla si trovava nella chiesa medioevale di S. Brigida d’Irlanda (citata nel XIII da Bussero), altre sono state trovate nelle fondazioni del Palazzo Pirovano Visconti, altre nei muri di cinta. Le hanno tutte trasportate a Cassago, come suppone il signor Redaelli? Da dove?
Anche le tombe che sono state trovate al Crotto, in via S. Marco, alla Pieguzza sono state portate a Cassago? E che dire delle due vasche di età romana scoperte alla Pieguzza abitualmente connesse a una villa rustica?
La realtà è che questi reperti sono a Cassago da secoli e non c’è stato alcun traffico di importazione di reperti archeologici. Tutto il materiale archeologico cassaghese, ed è veramente tanto, è stato semplicemente riscoperto durante lavori di scavo o di demolizione.
Dalle fondazioni del Palazzo Pirovano-Visconti sono emerse anche sarcofagi in pietra di età romana e addirittura una incisione dell’età del ferro. Durante i lavori di ristrutturazione del porticato e della sala del pellegrino sono emersi tegoloni romani e nel Parco rus Cassiciacum la Soprintendenza ha sospeso i lavori perché è stata rinvenuta della terra sigillata. Che dire?
Dobbiamo pensare che i Cassaghesi andavano in giro a rubare reperti romani per costruire le loro case? Crediamo proprio di no, perché già scriveva suo tempo il cardinale Federigo Borromeo, che visitò Cassago più volte, che “Inoltre questo Casissiacum il luogo che le parole dell'inclito Dottore celebrano, noi crediamo che sia Cassago. Sostengono la nostra congettura sia la natura del luogo, sia l'origine del nome, sia le testimonianze di vecchi edifici, sia le numerose vestigia di antichità''.
Interessante questa allusione alle numerose vestigia di antichità e la differenziazione con i vecchi edifici: interessante perché il Borromeo, che scrive nel primo Seicento, non era certo l’ultimo arrivato quanto a conoscenza del mondo romano.
Quanto alla fontana di sant’Agostino è assolutamente falsa l’affermazione del signor Redaelli che è un manufatto costruito dai cassaghesi negli anni Sessanta. Non si sa quando fu costruita, ma è certo che se ne parlava già dalla metà dell’Ottocento quale luogo di devozione verso Agostino. Durante i lavori per la realizzazione del parco storico-archeologico S. Agostino nel 1984-1986 si è scoperto che aveva anche un emiciclo laterale nascosto dalla superficie erbosa e un blocco di muro in coccio pesto. A fianco sono riaffiorate anche due camere che hanno restituito frammenti di vasi di ceramica medioevale.
Risalendo la china, indagini georadar hanno evidenziato la presenza sotto terra di mura e quasi appresso furono trovati tre tasselli di mosaico. Gli indizi, certo, sono sparsi, da soli dicono poco, ma se li mettiamo assieme incominciano a dire qualcosa. E che dire del culto a Cassago per Agostino? L’affermazione di Redaelli: ''Viene da chiedersi, come mai, dal 386 d.C. al 1600 la presenza di Sant’Agostino non sia stata oggetto di culto'' è stata sollevata più volte, ma senza una ragionevole motivazione. Perché? Perché i rari abitanti agricoltori analfabeti dell’anno 386-387 non solo hanno visto Agostino per poco tempo – non più di sette mesi -, ma neppure avranno saputo del suo battesimo e delle sue gesta in terra africana. Se poi aggiungiamo che erano quasi certamente pagani, che culto cristiano potevano mai far nascere?
Nella realtà dei fatti il ricordo del luogo è stato affidato nel medioevo alle pagine delle Confessioni, che ne citano il toponimo, e ai Dialoghi che raccontano che cosa vi successe. Chi nel milanese ne tentò l’identificazione, come già nel Quattrocento Tristano Calchi bibliotecario capo del Ducato, propose Cassago. E così è stato per gli scrittori successivi tra cui Giuseppe Ripamonti nativo di Tegnone, autore di una celeberrima Storia di Milano. Nel 1630 il parroco don Filippo Balsamo, nativo di Monticello e formatosi nei seminari milanesi di san Carlo, probabilmente riprese questa consuetudine e la portò a conoscenza dei fedeli nel periodo della peste. Nel Chronicon tuttavia aggiunge che nella chiesa parrocchiale medioevale si conservava una pietra legata alla figura di Agostino, che si trovava in un oratorio demolito nel 1613, dunque ben prima del miracolo della peste.Che dire poi della affermazione che “da un punto di vista linguistico, l’analisi depone più a favore di Casciago'' e che “tenendo conto che quest'ultimo nei documenti e negli atti risalenti ad alcuni secoli fa, veniva identificato con il nome di Cassiciago”?
In realtà i documenti medioevali prodotti dal prof. Stella relativi a Casciago, cui si riferisce Redaelli, riportano le dizioni Cascliago, Casclago, Castiagus, Castiacus, Casgiago e mai Cassiciago.
Piuttosto dovremmo sapere e ricordarci che nel XII secolo in un atto in cui vengono elencati i possedimenti di Pontida in Cassago, questo luogo viene indicato come Cassciago, con la perdita naturale della i mediana. Per assurdo se dovessimo stare pedissequamente ai criteri della sola linguistica, non ci sono dubbi: il Cassiciaco agostiniano si trova in Francia, dove sono molto diffusi toponimi come i nostro.
E’ ben evidente che la localizzazione del rus Cassiciacum non può affidarsi ad un unico criterio, ma deve trovare il supporto convergente e non contraddittorio di più piste di indagine. Quali devono essere i suoi requisiti, cioè le condizioni assolutamente necessarie? Il luogo deve essere stato abitato in epoca tardo romana, il luogo deve essere stato riconosciuto in qualche modo dalla tradizione milanese, il luogo deve trovarsi a una certa distanza da Milano (30-40 Km), il luogo deve avere i connotati ambientali descritti da Agostino (niente vista di laghi) e così via. Mettendo insieme tutti questi tasselli il mosaico prende forma e in attesa di trovare i resti della villa di Verecondo, come pretendono i più ostinati oppositori, possiamo riprendere le parole di don Rinaldo Beretta, primo serio storico briantino moderno, che nel 1947, prima ancora delle scoperte archeologiche, scriveva: “Ad ogni modo, chi oggettivamente e serenamente studia la questione non potrà fare a meno di convenire che, oggi come oggi, non si possono fare che delle supposizioni più o meno probabili, e che Cassago, conserva tuttora, se non la certezza, serii indizi di corrispondere al Cassiciaco agostiniano”.Quanto alla affermazione di Redaelli che le lettere inviate a Monsignor Luigi Biraghi nell’Ottocento sarebbero ''custodite dall’Associazione Sant’Agostino e non ho mai avuto l’occasione di consultarle'', si tratta di una bufala. L’Associazione non ha mai né custodito né avuto tali lettere. Al più c’è qualche lettera di mons. Biraghi in archivio parrocchiale, ma il loro contenuto non aggiunge nulla di nuovo.