RACCONTI DALLA VILLA/3: una mattinata simile a tante altre, ma densa di colpi di scena

Prosegue la rubrica ''Racconti dalla Villa'', inaugurata nelle scorse settimane (recuperate l’introduzione QUI e i primi due racconti QUI), con un nuovo testo di Elisa Fumagalli, accompagnato dalla nota di Matteo Villa, professore dell’istituto superiore Greppi di Monticello,  dove studiano o hanno studiato gli autori delle storie.
Come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.

I curatori: Giulia Redaelli e Beniamino Valeriano

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UNA MATTINA COME TANTE - ELISA FUMAGALLI
Avevo capito immediatamente che un’occasione così non mi sarebbe più capitata. Erano mesi che rimuginavo su cosa avrei potuto fare e, ora che mi si presentava davanti la soluzione, non avevo intenzione di lasciarmela sfuggire. Per questo, la mia mano non tremava quando premetti il grilletto.
Era una mattinata come le altre, a Chicago. Mi svegliai alle 6.30, mi vestii e uscii di casa alle 7.00 per andare al lavoro. Nonostante all’apparenza non sembrassi turbata, dentro di me si agitavano centinaia di pensieri che minacciavano di soffocarmi. Entrai in ufficio e mi diressi verso la solita scrivania accanto alla finestra, l’unica che non era ingombra di fascicoli di casi irrisolti o di cui il signor Krauss si stava occupando. Erano ormai diversi anni che lavoravo per Presunto Innocente, eppure non riuscivo ancora ad abituarmi a tutto quel caos.
Presunto Innocente era l’associazione di avvocati più famosa della città e io ero l’assistente personale di un avvocato che lavorava lì. Non un avvocato qualunque, bensì Elias Krauss, la cui popolarità era salita alle stelle dopo il successo del caso Mahony risalente a quasi un anno prima. Di colpo fui risvegliata dai miei pensieri dalla voce irritante di Annalise Swayne che mi chiamava.
«Lauren! Lauren, meno male che sei arrivata, avevo proprio bisogno di te» Mi sbatté in faccia una pigna di cartelle contenenti fascicoli che, a detta sua, dovevano essere compilati e pronti per essere consegnati entro mezzogiorno. «Ah, Lauren, quando hai finito consegnali direttamente al signor Krauss.», aggiunse prima di allontanarsi. «Mi chiamo Lorel…», borbottai infastidita. Nonostante lavorassimo insieme da anni, persisteva nello sbagliare il mio nome. Mi misi a guardare con fare rassegnato la montagna di fogli sulla mia scrivania, poi lanciai un’occhiata all’orologio appeso alla parete. Segnava le 7.52. Avevo quattro ore, potevo farcela. Iniziai a lavorare. L’orologio segnava le dodici in punto mentre mi avviavo lungo il corridoio verso l’ufficio di Krauss. Da piccola provavo un’enorme ammirazione nei confronti di quell’uomo. Mio padre, prima di essere ucciso, era stato un magistrato, quindi sentivo spesso i suoi racconti dei processi. Ero rimasta talmente colpita dall’abilità e dall’astuzia di Elias Krauss, che avevo deciso di iscrivermi alla facoltà di legge. Strinsi più forte i fascicoli che avevo in mano.
Ero rimasta non poco sorpresa quando, tre anni prima, il signor Krauss mi aveva voluta come sua assistente personale. Devo anche ammettere di essermi montata la testa non poco. Solo col tempo ho capito che lui non apprezzava tanto la mia bravura, quanto la mia capacità di non sconvolgermi nemmeno dinanzi ai fatti più incresciosi. Quindi, non mi preoccupai di bussare quando giunsi davanti alla porta del suo ufficio. Semplicemente entrai. Krauss era seduto alla scrivania di fronte al suo ultimo cliente, un tale Michael Murray, accusato di aver drogato una prostituta e poi averla lasciata a morire in un vicolo. Insomma, il caso-tipo di Elias Krauss.
Purtroppo per lui, l’uomo era stato ripreso mentre trascinava via la ragazza priva di sensi, perciò Kruss stava cercando di convincerlo a patteggiare.
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«Mi creda, signor Murray, cinque anni sono il minimo dopo quello che - ah, Lorel! Entra, entra pure. E chiudi la porta, grazie.» mi accolse Krauss.
Faceva sempre così quando c’erano anche altre persone. «Io l’ho assunta per non farmi sbattere in prigione, si ricordi! Cambierò avvocato e ne troverò uno più competente di lei, glielo garantisco!» Scrutai l’espressione di Krauss: notai che stava perdendo la pazienza. Doveva essere già da un po’ che discutevano. Accavallò le gambe e fece quel sorriso che faceva sempre prima di insultare qualcuno. Dio, quanto odiavo quell’uomo.
L’avvocato si sporse verso Murray e gli sussurrò: «Oh, mi creda signor Murray, nessuno accetterà il suo caso. Cambiare sei avvocati nel corso di un solo processo, per giunta impossibile da vincere? Non scherziamo. Adesso le dico io cosa facciamo, le va? Ora lei firma quel documento e accetta i cinque anni di detenzione, oppure mi licenzia e si fa i quindici anni proposti dal procuratore. Cosa sceglie?» Dopo che ebbe firmato, Murray uscì e io feci per seguirlo, ma Krauss mi trattenne. «Lorel», esordì. «Voglio che stasera passi da me. Dobbiamo parlare della tua condotta per quanto riguarda questo caso.» Sapevo che quella era solo una scusa, ma annuii e mi avviai alla porta. Erano le 21.45, ed io mi trovavo fuori dalla casa del signor Krauss ad aspettare che mi aprisse. Intanto, mi tastai il fianco per assicurarmi che la pistola fosse ancora lì. Avevo riflettuto a lungo ed ero giunta alla conclusione che non c’era alcun modo per uscirne, se non quello. Non sarei potuta fuggire, perché sapevo che lui mi avrebbe trovata. Non potevo andare alla polizia perché sapevo che lui non me lo avrebbe mai permesso. Ero troppo pericolosa, sapevo troppe cose. Prima che potessero venirmi dei dubbi su ciò che stavo per fare, la porta si aprì sulla figura di Elias Krauss.
Rimanemmo a fissarci per un po’ senza dire una parola. Proprio mentre cominciavo a pensare che aveva scoperto tutto e che voleva vendicarsi di me, Krauss si fece da parte e mi disse di entrare. Varcai la soglia e mi accomodai sulla poltrona in salotto, proprio di fronte a lui. Il cuore mi batteva così forte nel petto che non mi sarei stupita se anche lui avesse potuto udirlo. Feci per parlare ma lui mi precedette. Si alzò e si diresse verso la cassettiera, dandomi le spalle. Non potevo credere di aver avuto tanta fortuna. «Lorel…», esordì. Quanto odiavo sentire il mio nome uscire dalla sua bocca. Avevo paura che avrei esistato se avessi atteso più a lungo, perciò estrassi la pistola dalla tasca e gliela puntai alla testa. Vidi i suoi occhi inespressivi scrutarmi attraverso lo specchio e le sue mani sollevarsi lentamente in un gesto di resa. «Sta’ zitto», ringhiai. Ora che avevo quell’arma in mano mi sentivo stranamente potente. Mi piaceva, quella sensazione. «Lorel, non sai cosa stai facendo-», iniziò. «Tu hai ucciso mio padre», lo interruppi.
Nei suoi occhi lessi un lampo di sorpresa. Non si aspettava che l’avrei scoperto. Temevo mi avrebbe chiesto come avevo fatto a scoprirlo e che si sarebbe svolta una scena da film in cui gli spiegavo fin nei dettagli come l’avevo scoperto. Ma lui non mi chiese nulla. Invece, scoppiò a ridere e disse: «Allora, cos’hai intenzione di fare? Uccidermi? Occhio per occhio, dente per dente? Sul serio, Lorel?» Strinsi più forte la pistola tra le dita. No, non avevo intenzione di ucciderlo. Lui lo sapeva. Ma di certo non si aspettava ciò che stavo per fare. Senza distogliere gli occhi dai suoi riflessi nello specchio, rivolsi la pistola verso me stessa e premetti il grilletto. Dopo il frastuono dello sparo, su ogni cosa calò un silenzio irreale.

Elisa Fumagalli


NOTA
Se vi piacciono i colpi di scena, questo racconto fa per voi. La giovanissima autrice, Elisa Fumagalli, costruisce una storia che si alimenta di una tensione crescente e di un continuo cambio di prospettive, tutte volte però a convergere nel finale sorprendente. Sin dalle prime righe, la nostra curiosità viene attratta da questo evento, vorremmo quasi anticiparne il compimento, ma in realtà la vicenda si arricchisce grazie a particolari che riemergono dal passato, concedendoci qualche chiarimento e al contempo ispessendo le ombre del dubbio.
È evidente il richiamo dell’autrice ai tipici elementi della storia poliziesca. Non tradiscono le attese, in questo senso, l’ambientazione - che forse vuole omaggiare la narrativa hard boiled -, un delitto occultato, la malvagità senza sfumature del cattivo (villain), l’innocenza non convenzionale dell’eroina, la sete di giustizia che deve farsi strada, solitaria e ostinata, fra pericoli e ostacoli, la trappola della suspence che ci avviluppa, lo sguardo in soggettiva che solo a poco a poco rivela gli elementi del quadro generale.
E tuttavia questo non è un racconto giallo. Al di sotto di questa veste, emerge una vicenda dal chiaro senso tragico. Siamo portati fino a un passo dalla risoluzione di un caso e, a quel punto, ci troviamo di fronte a un rovesciamento definitivo: la vendetta non concede espiazione, la pena si tramuta in sacrificio, la chiarificazione razionale sprofonda in indefinibile oscurità. C’è la colpa, ma la punizione si interrompe per il compiersi di un destino senza giustizia, per l’irrompere di un fatto forse irreale.

Matteo Villa


Per visualizzare la versione del racconto in PDF clicca QUI


LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
-Racconti dalla Villa/2: Arlene di Piombo
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