RACCONTI DALLA VILLA/6: certezze (e dubbi) fra arte ed esistenza in Linee Incidenti
Prosegue la rubrica Racconti dalla Villa, inaugurata nelle scorse settimane (recuperate l’introduzione QUI e i primi cinque racconti QUI), con un nuovo testo di Viola Paganoni, accompagnato dalla nota di Giulia Mauri, professoressa dell’istituto Greppi, dove studiano o hanno studiato gli autori delle storie.
Come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.
Oggi la biglietteria non è nascosta da una lunga fila. Appunto mentalmente che il martedì è il giorno migliore per visitare un museo. Verso sera, ancora meglio. Chiedo un biglietto, ottengo uno sconto ed estraggo il portafoglio dalla borsa. Non ho banconote e sono costretta a pagare con qualche monetina di rame. Dietro al bancone la donna mi guarda annoiata. Un sopracciglio sollevato, le dita che tamburellano impazienti mentre annaspo tra i 5 centesimi. Mentre lascio la cassa, ringrazio goffamente e mi precipito nella prima sala, il biglietto stropicciato tra le mani. Non sono la tipica donna milanese indossatrice di tailleur che passa le giornate nelle gallerie d’arte affettando rapimento estetico (ed estatico). Vesto completi firmati, è vero. Ma la mia passione per l’arte è autentica. Rimango ammaliata di fronte alle pennellate corpose, ho i brividi mentre osservo le carezze leggere sulla tela. Frequento mostre e musei per provare emozioni, commuovermi, sentirmi umana.
Nella prima sala c’è soltanto un uomo oltre a me. Sembra distratto. Getta sguardi, si ferma di fronte alle targhette con la spiegazione, le mani dietro la schiena. Io le didascalie non le leggo mai. Non mi interessa il parere dei critici d’arte. Non voglio sapere il titolo o l’artista. Mi basta guardare e sentire qualcosa. Le prime sale sono tappezzate da mastodontici dipinti di paesaggi. Mi fermo a immaginare di essere dentro ognuno di essi. Sopra quell’altalena sospesa a mezz’aria, salendo il ponte inghiottito dalla nebbia, oppure mentre corro nel biondo campo di grano. Man mano che proseguo, i visitatori diradano. Mi trovo a essere sola, tranne un paio di guardie che però hanno gli occhi incollati sui display luminosi dei loro cellulari. Dopo aver visto tutti i quadri, scopro che hanno allestito una mostra di arte moderna. Oggi è l’ultimo giorno, quindi decido di passarci, seppur le campane del Duomo abbiano suonato da un pezzo le sette di sera.
Entro in una stanza dal soffitto alto. I muri sono immacolati e ci sono due tele per ogni parete. La pittura sgargiante colpisce i miei occhi. Non ci sono soggetti raffigurati, solo un illimitato ripetersi di linee. Forme geometriche squadrate seguono i miei movimenti. Intimorita, accelero il passo e proseguo la mia visita. Mi trovo di fronte a due corridoi.
Una scelta, è solo una scelta.
Scelgo quello di destra. La camminata è lunga, mentre vengo accompagnata da opere disposte in ordine sulle pareti d’un bianco latteo. Qualcosa – semplice curiosità? – mi spinge ad avanzare. Voglio sapere cosa troverò alla fine del corridoio.
Non è che voglio, devo.
Le gambe ormai si muovono da sole, in una sorta di trance. Ecco la parete di fondo. Il corridoio è a fondo cieco. Mi fermo. Il quadro che ho di fronte è una tela candida, che si confonde con le pareti costringendo i miei occhi a socchiudersi, accecati da tanta luce. Eppure vedo dell’altro.
Un uomo sta sistemando la sua futura opera su un enorme telaio. Basta un’occhiata per accorgersi che è un artista: i capelli, lucidi per lo sporco, sono legati frettolosamente in un codino dietro la testa, e la camicia semiaperta è un campo di battaglia. La tavolozza è appoggiata poco distante, i tubetti di colore sparsi tutt’intorno. Il pittore prende in mano un pennello. Si ferma, ci ripensa. Lo ripone. Si rialza, questa volta ha tra le mani qualcosa di diverso. È una lama.
Una linea rossa, sottile, comincia a farsi strada lungo il tessuto. Taglia in una diagonale imperfetta la tela.Sono confusa, ipnotizzata. Ho l’impressione che si stia espandendo.
Il suo palmo sinistro si spalanca, di scatto. Il coltello è solidamente tenuto nell’altra mano. Alzo un braccio per fermarlo. Lui non sembra notarmi. Avvicina l’arma tagliente alla pelle. Non batte ciglio mentre sotto l’indice comincia ad aprirsi un profondo taglio. Tira una linea retta e decisa, ormai è a metà palmo.
La tela inizia ad aprirsi. Un lembo ricade sfinito.
Tic, tac. Tac, tic. La mano è divisa da un solco profondo. L’uomo flette le dita intorpidite e sporche di sangue. La tela comincia a gocciolare. Una pozza si sta ormai formando tra i piedi dell’artista. Ciò che era bianco, ormai è scarlatto. Ciò che era carne, ormai è sangue. Mi volto a guardare ogni parete, cercando un candido barlume, ma vedo solo rosso, rosso e rosso. Mi manca il respiro. Comincio a indietreggiare, terrorizzata. Urto qualcosa. Il rumore fa voltare il pittore. Mi vede, mi guarda, mi osserva. Esisto. Esiste. La lama è ancora stretta tra le dita. La alza. Non faccio in tempo a proteggermi.
Sono fuori in balcone, l’orario sul mio laptop segna le 23.00. Per oggi può bastare. Salvo la bozza tra i racconti ancora da definire. Distendo le braccia stiracchiandomi. Non ne sono ancora soddisfatto, ma è un buon inizio. Do una rapida occhiata alla vista: alberi, strade e fari di automobili che illuminano il quieto buio. Le cicale cantano. Rientro in casa e mi dirigo verso la camera da letto. Appoggio gli occhiali sul tavolino accanto a me, mentre mi infilo sotto le coperte cercando di non svegliare mia moglie. Domani devo ricordarmi di farle leggere quello che ho scritto. Riesce sempre a darmi buoni consigli, soprattutto quando si tratta di racconti con protagoniste femminili. Spengo la luce e chiudo gli occhi. Mi sono addormentato senza aver fatto caso al biglietto del museo sul comodino di mia moglie e alla fasciatura intorno alla sua mano.
NOTA
Qual è il rapporto tra arte e vita? Cosa si nasconde dietro a una tela immacolata o alla bozza di un racconto? Con poche pennellate corpose, Viola ci fa intravedere i nodi di una rete di relazioni: un pittore, uno scrittore, una donna. Chi è l’artista, e chi invece è solo un personaggio, inconsapevole, dell’opera d’arte? Fino a che punto l’artista può modellare la vita delle sue creature? Cosa potrebbe accadere se un quadro prendesse vita, trasformandosi in una finestra su un’altra realtà? E se invece un racconto fosse fin troppo vicino alla realtà? A chi appartiene il sangue sulla tela? Arrivato alla conclusione, il lettore si trova ad avere più domande che risposte.
LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
-Racconti dalla Villa/2: Arlene di Piombo
-Racconti dalla Villa/3: Una mattina come tante
-Racconti dalla Villa/4: L'ombra sulla collina
-Racconti dalla Villa/5: Memorie di un gatto
Come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.
I curatori: Giulia Redaelli e Beniamino Valeriano
LINEE INCIDENTI - VIOLA PAGANONIOggi la biglietteria non è nascosta da una lunga fila. Appunto mentalmente che il martedì è il giorno migliore per visitare un museo. Verso sera, ancora meglio. Chiedo un biglietto, ottengo uno sconto ed estraggo il portafoglio dalla borsa. Non ho banconote e sono costretta a pagare con qualche monetina di rame. Dietro al bancone la donna mi guarda annoiata. Un sopracciglio sollevato, le dita che tamburellano impazienti mentre annaspo tra i 5 centesimi. Mentre lascio la cassa, ringrazio goffamente e mi precipito nella prima sala, il biglietto stropicciato tra le mani. Non sono la tipica donna milanese indossatrice di tailleur che passa le giornate nelle gallerie d’arte affettando rapimento estetico (ed estatico). Vesto completi firmati, è vero. Ma la mia passione per l’arte è autentica. Rimango ammaliata di fronte alle pennellate corpose, ho i brividi mentre osservo le carezze leggere sulla tela. Frequento mostre e musei per provare emozioni, commuovermi, sentirmi umana.
Nella prima sala c’è soltanto un uomo oltre a me. Sembra distratto. Getta sguardi, si ferma di fronte alle targhette con la spiegazione, le mani dietro la schiena. Io le didascalie non le leggo mai. Non mi interessa il parere dei critici d’arte. Non voglio sapere il titolo o l’artista. Mi basta guardare e sentire qualcosa. Le prime sale sono tappezzate da mastodontici dipinti di paesaggi. Mi fermo a immaginare di essere dentro ognuno di essi. Sopra quell’altalena sospesa a mezz’aria, salendo il ponte inghiottito dalla nebbia, oppure mentre corro nel biondo campo di grano. Man mano che proseguo, i visitatori diradano. Mi trovo a essere sola, tranne un paio di guardie che però hanno gli occhi incollati sui display luminosi dei loro cellulari. Dopo aver visto tutti i quadri, scopro che hanno allestito una mostra di arte moderna. Oggi è l’ultimo giorno, quindi decido di passarci, seppur le campane del Duomo abbiano suonato da un pezzo le sette di sera.
Entro in una stanza dal soffitto alto. I muri sono immacolati e ci sono due tele per ogni parete. La pittura sgargiante colpisce i miei occhi. Non ci sono soggetti raffigurati, solo un illimitato ripetersi di linee. Forme geometriche squadrate seguono i miei movimenti. Intimorita, accelero il passo e proseguo la mia visita. Mi trovo di fronte a due corridoi.
Una scelta, è solo una scelta.
Scelgo quello di destra. La camminata è lunga, mentre vengo accompagnata da opere disposte in ordine sulle pareti d’un bianco latteo. Qualcosa – semplice curiosità? – mi spinge ad avanzare. Voglio sapere cosa troverò alla fine del corridoio.
Non è che voglio, devo.
Le gambe ormai si muovono da sole, in una sorta di trance. Ecco la parete di fondo. Il corridoio è a fondo cieco. Mi fermo. Il quadro che ho di fronte è una tela candida, che si confonde con le pareti costringendo i miei occhi a socchiudersi, accecati da tanta luce. Eppure vedo dell’altro.
Un uomo sta sistemando la sua futura opera su un enorme telaio. Basta un’occhiata per accorgersi che è un artista: i capelli, lucidi per lo sporco, sono legati frettolosamente in un codino dietro la testa, e la camicia semiaperta è un campo di battaglia. La tavolozza è appoggiata poco distante, i tubetti di colore sparsi tutt’intorno. Il pittore prende in mano un pennello. Si ferma, ci ripensa. Lo ripone. Si rialza, questa volta ha tra le mani qualcosa di diverso. È una lama.
Una linea rossa, sottile, comincia a farsi strada lungo il tessuto. Taglia in una diagonale imperfetta la tela.Sono confusa, ipnotizzata. Ho l’impressione che si stia espandendo.
Il suo palmo sinistro si spalanca, di scatto. Il coltello è solidamente tenuto nell’altra mano. Alzo un braccio per fermarlo. Lui non sembra notarmi. Avvicina l’arma tagliente alla pelle. Non batte ciglio mentre sotto l’indice comincia ad aprirsi un profondo taglio. Tira una linea retta e decisa, ormai è a metà palmo.
La tela inizia ad aprirsi. Un lembo ricade sfinito.
Tic, tac. Tac, tic. La mano è divisa da un solco profondo. L’uomo flette le dita intorpidite e sporche di sangue. La tela comincia a gocciolare. Una pozza si sta ormai formando tra i piedi dell’artista. Ciò che era bianco, ormai è scarlatto. Ciò che era carne, ormai è sangue. Mi volto a guardare ogni parete, cercando un candido barlume, ma vedo solo rosso, rosso e rosso. Mi manca il respiro. Comincio a indietreggiare, terrorizzata. Urto qualcosa. Il rumore fa voltare il pittore. Mi vede, mi guarda, mi osserva. Esisto. Esiste. La lama è ancora stretta tra le dita. La alza. Non faccio in tempo a proteggermi.
Sono fuori in balcone, l’orario sul mio laptop segna le 23.00. Per oggi può bastare. Salvo la bozza tra i racconti ancora da definire. Distendo le braccia stiracchiandomi. Non ne sono ancora soddisfatto, ma è un buon inizio. Do una rapida occhiata alla vista: alberi, strade e fari di automobili che illuminano il quieto buio. Le cicale cantano. Rientro in casa e mi dirigo verso la camera da letto. Appoggio gli occhiali sul tavolino accanto a me, mentre mi infilo sotto le coperte cercando di non svegliare mia moglie. Domani devo ricordarmi di farle leggere quello che ho scritto. Riesce sempre a darmi buoni consigli, soprattutto quando si tratta di racconti con protagoniste femminili. Spengo la luce e chiudo gli occhi. Mi sono addormentato senza aver fatto caso al biglietto del museo sul comodino di mia moglie e alla fasciatura intorno alla sua mano.
NOTA
Qual è il rapporto tra arte e vita? Cosa si nasconde dietro a una tela immacolata o alla bozza di un racconto? Con poche pennellate corpose, Viola ci fa intravedere i nodi di una rete di relazioni: un pittore, uno scrittore, una donna. Chi è l’artista, e chi invece è solo un personaggio, inconsapevole, dell’opera d’arte? Fino a che punto l’artista può modellare la vita delle sue creature? Cosa potrebbe accadere se un quadro prendesse vita, trasformandosi in una finestra su un’altra realtà? E se invece un racconto fosse fin troppo vicino alla realtà? A chi appartiene il sangue sulla tela? Arrivato alla conclusione, il lettore si trova ad avere più domande che risposte.
Giulia Mauri
Per visualizzare la versione del racconto in PDF clicca QUI
LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
-Racconti dalla Villa/2: Arlene di Piombo
-Racconti dalla Villa/3: Una mattina come tante
-Racconti dalla Villa/4: L'ombra sulla collina
-Racconti dalla Villa/5: Memorie di un gatto