RACCONTI DALLA VILLA/7: con ''Una questione sinistra'' riparte la rubrica del Greppi

Riprende dopo le feste la rubrica Racconti dalla Villa, inaugurata nelle scorse settimane (recuperate l’introduzione QUI e i primi sei racconti QUI), con un nuovo testo di Giulia Lo Giudice, accompagnato dalla nota di Francesco Bonfanti, professore dell’istituto Greppi, dove studiano o hanno studiato gli autori delle storie. 
Come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.

I curatori: Giulia Redaelli e Beniamino Valeriano


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UNA QUESTIONE SINISTRA - GIULIA LO GIUDICE
Se ti è capitato di ascoltare dicerie o superstizioni riguardanti i mancini, continua a leggere: sto per rivelarti da dove provengono. 
Alcuni sostengono che questi pregiudizi risalgano alla cultura misogina della Grecia del IV secolo a.C.:  nella Metafisica di Aristotele, si parla di opposti associando l’uomo al bene e alla destra; la donna al male e, ovviamente, alla sinistra. Facendo invece riferimento alla Bibbia, si crede che la mano sinistra sia collegata al diavolo. Nel suo Vangelo, Matteo descrive un Giudizio Universale che ritrae Cristo intento a dividere gli uomini di fede dai malvagi; non serve sottolineare che a destra saranno collocati i buoni, mentre a sinistra i malfattori destinati al fuoco eterno. Ti dirò di più, il nome di Satana deriva dal termine ebraico Samael, “veleno di Dio”, derivante a sua volta dalla parola sèmol, che guarda caso significa “sinistra”. 
Ancora oggi utilizziamo comunemente l’aggettivo sinistro per indicare cattivi presagi e sventure, mentre nel linguaggio delle assicurazioni il sinistro indica infortuni o incidenti.
Quello che tu, Aristotele e Matteo non sapete, è che in realtà noi esseri umani siamo tutti destrorsi. I mancini non esistono, o perlomeno non nel nostro mondo. Capisco possa sembrarti un’idiozia, ma lascia che mi spieghi meglio: immagina di guardarti allo specchio, ecco ora lascia perdere il tuo riflesso e sforzati di vedere qualcosa al di là del vetro. Difficile da visualizzare. È a quel luogo vasto e ingannevole, come si suol dire, sinistro, che appartengono i mancini. Perciò d’ora in poi se vedi qualcuno scrivere con la sinistra guardati le spalle: si tratta di un essere scappato dallo specchio.
Per una questione di incolumità preferisco non rivelare il mio nome, dopotutto quello che davvero importa non è chi io sia, ma cosa so di questa inquietante faccenda. È iniziato tutto casualmente sei anni fa, quando per curiosità rovistavo tra alcuni scaffali marci in soffitta, imbattendomi in un volume piuttosto vecchio rimasto incompiuto. Leggendo scoprii che il casale dove abitavo in quel periodo era un tempo appartenuto all’abate del villaggio, un certo don Emilio Giarrusso, il quale si occupava a tempo pieno di incombenze sconosciute. Nessuno aveva la minima idea di cosa facesse rintanato in casa giorno e notte, quel che è certo è che le sue attività occulte cominciavano ad attirare l’attenzione dei paesani, tanto che presto fu sollevato dall’incarico che ricopriva in parrocchia e nessuno lo vide più. Sui registri risulta che praticasse stregoneria e satanismo. 
Nulla di tutto ciò è stato accertato, la verità è che don Emilio aveva scovato qualcosa di incredibile: l’esistenza di un universo concomitante oltre l’immagine riflessa nello specchio. Stando al manoscritto, la scoperta fu casuale: pare che l’uomo si stesse radendo distrattamente in bagno, quando avrebbe perso l’equilibrio e si sarebbe appoggiato allo specchio per non cadere. Nell’istante in cui avrebbe toccato la superficie vitrea, la sua mano sarebbe penetrata in un varco, l’ingresso per un mondo a lui apparentemente estraneo. Apparentemente perché dopo parecchi giorni passati a riflettere, aveva capito di essere venuto proprio da lì. 
L’intuizione era arrivata quando finalmente si era deciso a mostrare la breccia nello specchio ai suoi amici più intimi, quattro borghesi che frequentavano regolarmente la comunità parrocchiale. Aveva chiesto a ciascuno di loro di toccare il riflesso, e così uno dopo l’altro avevano appoggiato la mano sul vetro incerti e parecchio confusi. Non era successo nulla. Se fino a pochi minuti prima don Emilio credeva di possedere uno specchio maledetto, ora si trovava a considerare di avere qualche potere esoterico o peggio ancora di essere a contatto con Satana. Esitante decise di far vedere ai suoi ospiti il motivo per cui li aveva riuniti, la loro reazione fu istintiva: i quattro uomini se la diedero a gambe all’istante, lasciandolo solo e più confuso di prima.
Non aveva previsto che si sarebbero inorriditi tanto da scappare. Si rese conto immediatamente che presto avrebbero avvertito il parroco o chi per lui e decise di entrare nello specchio prima che potessero trovarlo e rinchiuderlo con i dissennati e gli eretici. Fece un respiro profondo e si addentrò completamente alla cieca in quel mondo occulto. 
Don Emilio racconta di aver immaginato un luogo raccapricciante e oscuro dove regnano il disordine, il male, il peccato, ma oltre lo specchio non trovò nulla di tutto questo. 
Guardandosi intorno non gli sembrava di trovarsi in un universo nuovo, piuttosto in una curiosa estensione di quello reale. Era un posto enorme, talmente grande e illusorio che non distingueva alcuna linea di demarcazione, gli pareva di essere al di fuori dello spazio concreto, di essere stato catapultato nel vuoto più assoluto. Tutto ciò che riusciva a vedere era una fila interminabile di varchi luminosissimi appoggiati alla parete che gli stava alle spalle: ogni specchio prodotto nella storia dell’umanità si trovava lì.
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Quell’ambiente immenso pullulava di uomini e donne indaffarati che sfrecciavano da una parte all’altra come se fossero in ritardo per un appuntamento importante. Don Emilio provò a attirare l’attenzione di uno di loro, il quale non si fermò nemmeno un secondo, andò dritto per la sua strada come se nessuno l’avesse interpellato. In quel momento si accorse che ciascuna persona camminava frettolosamente senza curarsi della presenza delle altre, non una parola, non uno sguardo, sembravano tutti programmati per uno scopo a lui sconosciuto. A quel punto prese a seguire una donna che avanzava e avanzava senza mai fermarsi, fino a quando non raggiunse una botola e scese giù per una scala a pioli, arrivando in un secondo locale sconfinato; questa volta stracolmo di tavoli perfettamente allineati, ce n’erano a migliaia in tutte le direzioni. Perse di vista la donna, si era probabilmente accomodata alla sua postazione per scrivere come stavano facendo tutti gli altri, e senza rendersene conto, si diresse verso un tavolo vuoto. Quando si fermò lesse il suo nome su una targhetta in legno e incredulo si tolse gli occhiali per esaminarla da più vicino. Era proprio il suo nome.
Dov’era finito? Chi erano le persone intorno a lui? Perché sembravano non avere un’anima? Come aveva trovato il suo tavolo senza nemmeno cercarlo? Ma soprattutto, come mai scrivevano tutti con la mano sinistra? Qui il manoscritto si fa interessante: don Emilio racconta che non era abituato a vedere altri che come lui utilizzavano la “mano del Diavolo” per le attività quotidiane. Sin da bambino era stato forzato e bacchettato perché imparasse a scrivere, mangiare e reggere oggetti con la destra, nonostante per lui fosse più naturale farlo con l’altra mano. I genitori e i maestri si infuriavano ogni volta che per errore usava la sinistra, gli ripetevano che era ignobile, che quelli come lui erano scellerati e soprattutto che doveva assolutamente essere destrorso come tutti gli altri. Così aveva imparato a maneggiare il calamo anche con la sua mano più debole.
Nell’universo al di là dello specchio era tutto al contrario: non c’era un solo essere umano che non fosse mancino. Gli balenò nella mente quanto era successo poco prima con i suoi amici, come le loro mani non potessero penetrare la superficie riflettente che la sua aveva attraversato senza alcuno sforzo. 
Purtroppo, non sappiamo altro, come vi ho anticipato il volume scritto da don Emilio è rimasto incompiuto. Non siamo a conoscenza di cosa sia capitato a lui e a tutti gli altri, né cosa scrivessero inconsciamente seduti ai loro tavoli. L’unica informazione che abbiamo è che l’abate fu sostituito e la sua scomparsa venne fatta passare come una punizione divina per aver praticato la stregoneria e aver servito Satana. 
Quanto a me, ho trascorso questi sei anni a leggere pile e pile di saggi sul mancinismo, trattati di psicologia, miti sull’origine e sul funzionamento di mondi paralleli al nostro, testimonianze di brecce che portano in altre dimensioni. Alla luce dei miei studi, posso dire con certezza che i mancini appartengono all’universo al di là degli specchi e hanno la possibilità di attraversarli. Tutto il resto è controverso e opinabile, ma l’ipotesi più attendibile è che controllino il mondo dei destrorsi scrivendone la storia, decidendone il destino e che in certe circostanze vengano mandati nel mondo che hanno inventato. Si tratta sempre di supposizioni, ma deduco che una volta raggiunta la nostra dimensione, i mancini si dimentichino da dove sono venuti. Tuttavia sappiamo, grazie a don Emilio, che una volta oltrepassato lo specchio, ricordano perfettamente il periodo trascorso nel mondo dei destrorsi. 
Pertanto, il mio consiglio è di non farli arrabbiare, dopotutto hanno la vostra vita tra le mani…oppure sono controllati a loro volta da qualcuno di più potente? Che sia il Diavolo come si crede?

NOTA
L’architettura del racconto è complessa e articolata, ma perfettamente risolta. La narrazione sorprende per compattezza e densità, che vengono dall’impiego di diverse strategie compositive. Pregevole l’uso originale e consapevole di un espediente tradizionale: il ritrovamento di un manoscritto in una soffitta, scritto da tale don Emilio Giarrusso; è una scelta che colloca il racconto in una cornice fantastica e verosimile insieme. Notevole anche l’uso di una spolverata di erudizione nell’avvio, che conferisce profondità prospettica al discorso sui mancini e identità alla voce narrante, che si presenta appunto come quella di un bizzarro erudito. Felice è anche la scelta di attribuire la scoperta della dimensione altra a un parroco in odore di occultismo e satanismo, in conformità alle tradizioni del genere narrativo fantastico.  
Si intravede da subito, in filigrana, il sorriso sornione e complice del narratore, il cui tono ironico e distaccato copre il velo d’inquietudine legato all’esplorazione dell’ignoto; si tratta comunque di un’ironia seria, perché serio è il gioco della scrittura – più precisamente della scrittura dei mancini, e cioè degli irregolari, degli artisti – che scrivono la vita, e cioè il destino, delle persone.  C’è solo da augurarsi che l’autore della nostra storia non sia Satana.

Francesco Bonfanti

Per visualizzare la versione del racconto in PDF clicca QUI

LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
-Racconti dalla Villa/2: Arlene di Piombo
-Racconti dalla Villa/3: Una mattina come tante
-Racconti dalla Villa/4: L'ombra sulla collina
-Racconti dalla Villa/5: Memorie di un gatto
-Racconti dalla Villa/6: Linee incidenti
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