RACCONTI DALLA VILLA/12: per la rubrica del martedì con il Greppi ''si chiude il sipario'' in attesa dei saluti finali

Siamo giunti all’ultimo racconto della rubrica Racconti dalla Villa (recuperate l’introduzione QUI e i primi undici racconti QUI), con un nuovo testo di Giulia Redaelli, accompagnato dalla nota di Rossella Gattinoni, professoressa dell’istituto Greppi, dove studiano o hanno studiato gli autori delle storie che sono state presentate. 
Ogni racconto ha costituito un tassello di questo progetto: ci auguriamo di avervi appassionato, divertito e, perché no, commosso! Speriamo che ogni personaggio possa essere stato un amico, un confidente o uno specchio in cui ritrovarsi e che ogni narrazione si sia rivelata una sorpresa.
Chiudiamo dunque il sipario, prima del saluto della prossima settimana, con quest’ultimo racconto; come ogni martedì: lasciatevi trasportare dalla narrazione.
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I curatori: Giulia Redaelli e Beniamino Valeriano


L’OSPITE - GIULIA REDAELLI
Attraversata la porta verde di via Enrico Fermi, ci si ritrovava in un piccolo corridoio. Lì, sulle due mensole appese alle pareti, erano stati posti dei cestini pieni di biscotti al burro, i classici dolcetti sfornati dalle nonne la domenica, la merenda preferita dai bambini.
Il loro odore riempiva la casa e creava una nuvola profumata che ricordava quasi un sogno, una finzione. Pareva di entrare in una di quelle abitazioni in vendita, dove gli agenti immobiliari tentano di riprodurre un’atmosfera dolce, familiare. Con qualche candela aprono ai visitatori una casa che odora di biscotti, pensando così di poter ricreare una sensazione, un luogo, di poter spalancare una porta della memoria del cliente, che si ritroverebbe magicamente nella propria dimora: la casa dove cucinerà dolci al burro ai propri nipoti.
Così faceva Astolfo Pagnotto. Tentava di ricreare un ambiente perfetto per il suo ospite. 
Chiunque fosse entrato nella stanza avrebbe dovuto sentire il tepore di chi torna a casa dopo una giornata d’inverno, quando i capelli inumiditi e il naso ghiacciato trovano finalmente tregua e ristoro nella propria dimora. Quattro mura che trattengono ed esprimono tutto ciò che un uomo può essere, vivere e dire. Un insieme di oggetti, sapori, odori, che racchiudono momenti, ricordi, che custodiscono l’autenticità di un’esistenza. Le calamite sul frigorifero sono i luoghi in cui si vorrebbe tornare, i cuscini arancioni del divano sono il colore tanto ricercato nella propria vita e sui comodini vengono riposti gli attimi rubati al divenire, che si vorrebbe non tramontassero mai.

Astolfo Pagnotto lavorava da giorni.
Chissà cosa stava aspettando. Forse l’amore. Forse l’occasione di una vita o la primavera.
Aspettava che la luce del mondo risvegliasse il suo calore, che il suo ospite, che tanto aveva atteso, che tanto aveva desiderato, portasse con sé la rivelazione dell’esistenza.
Indeciso su cosa preparare, aveva comprato un’infinità di cibo: frutta, legumi, verdure, due tipi d’olio, burro, margarina, riso e molto altro ancora. 
Avrebbe voluto ricreare una cena degna di nota, una tavola imbandita di prelibatezze. Sognava di poter soddisfare il suo ospite, di riempirlo fino allo sfinimento e di deliziarlo tanto che non potesse scegliere di smettere di mangiare. Sognava di servire il suo invitato e di essere ricoperto di lusinghe.

All’ora stabilita, Astolfo Pagnotto si era seduto al capo della sua tavola e la guardava. 
Al centro di questa si erigeva un magnifico centrotavola formato da tre candele circondate di finta edera. Si accumulavano poi, uno vicino all’altro, dei vassoi, pronti per essere riempiti nel momento in cui l’ospite avesse fatto capolino nella casa. 
La tavola era vuota e il cibo ancora non era stato servito, eppure sembrava perfetta. I piatti vuoti erano imbanditi di decorazioni dorate, i tovaglioli erano piccoli fiori e le posate perfetti soldati, dritti e allineati.
Dalla cucina proveniva un lieve odore di zafferano che si mischiava a quello dei biscotti. 
Questo incontro d’aromi penetrava attraverso il naso fino alla gola di Astolfo, che quasi credeva di poterli assaporare. Una sensazione gialla veniva rievocata alla sua mente dal burro e dalla spezia. Si sentiva immerso in quel colore e ricordava i limoni dell’estate d’infanzia raccolti in giardino.
Ogni agosto i limoni crescevano a casa Pagnotto e il piccolo Astolfo era solito aspettare che cadessero a terra dalle fronde verdi dell’albero. Seppure l’arbusto fosse piccolo, Astolfo non si sforzava, non si allungava verso le foglie, né tentava di toccare quei frutti gialli; si sedeva all’ombra e attendeva. 
L’odore di limone era presente e fortissimo e ritornava uguale, assieme ai suoi ricordi, quando pensava al colore del frutto. 

Il citofono aveva spezzato l’attesa.

Astolfo si sentiva venir meno. Il suo cuore batteva sempre più forte, tanto che sembrava poter esplodere fuori dal petto. Le sue gambe si trascinavano verso la porta. Tremava mentre girava le chiavi nella serratura, quasi ora avesse paura ad aprire e vedere e meravigliarsi.

«Astolfo! Che piacere vederti».

Il viso di Astolfo si era contratto in un’espressione sconcertata. 
Chi era quell’uomo che stava davanti alla sua porta?

«Astolfo, come stai? Ho portato del buon vino. Che piacere, che piacere vederti. Potrei anche piangere. È da tutta la vita che non ci incontriamo, che non ci vediamo. Come stai?»

Mentre parlava, lo straniero si era tolto le scarpe e aveva indossato le ciabatte che Astolfo aveva appositamente riscaldato.

«Che calore, sembra di essere a casa mia, sembra di tornare finalmente a casa di mia madre. Te la ricordi, mia madre, Astolfo?»

«No… Io sto aspettando un ospite… non ricordo tua madre. Io non so chi tu sia.»

«Sono io, eccomi: il tuo ospite»

«Ti dico che non ti conosco. Se fossi il mio ospite ti avrei riconosciuto.»

«È così tanto che non ti vedo…»
All’ospite era scesa una lacrima. Sorrideva commosso davanti ad Astolfo, imperterrito e confuso. 

«Io le posso lasciare questo fazzoletto, le posso dare un biscotto, ma poi devo lasciarla andare. Sto aspettando un ospite.»

«Astolfo, ma non ti ricordi?»

«No…»

«Cosa hai cucinato di buono? Sento un odorino…»
Lo straniero era ormai entrato in casa. 
Come se fossero state preparate per lui, si era appropriato delle pentole con il cibo, aveva disposto tutto nei piatti e si era seduto.
L’attesa era ormai stata infranta dalla sorpresa e Astolfo sentiva di non potersi opporre.
«Avanti Astolfo, siediti, mangia.»

«Io sto aspettando un ospite.»
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L’uomo ridacchiava. 
«Astolfo, ma cosa stai dicendo? Cosa aspetti a gustare questa spezia dorata? Zafferano… Limoni» sussurrava.

«Io, io sto aspettando un ospite.»

«Eccomi, eccomi: il tuo ospite!»

«No, io non ti conosco. Per favore, ora vattene, stai rovinando ogni cosa. Tu non sei il mio ospite. Non sei chi sto aspettando, stai rovinando la mia cena, stai rovinando il cibo, i piatti, le posate e stai stropicciando la tovaglia.»

«Come puoi non ricordare Astolfo, sono io, sono IO!»

«Ma chi io, chi è io, chi sei tu, non ti conosco, non ti ho mai visto e ora siedi alla mia tavola e vuoi mangiare il cibo che ho preparato con fatica!»

«Non ricordi, Astolfo? Non ricordi le notti in campagna, quando eravamo piccoli e avevamo paura? Quando scappavamo dalle finestre e ci arrampicavamo sui covoni per guardare le stelle che illuminano il buio. Non ricordi dei nostri sogni? Non ricordi?»

«No, non sono io quello di cui parli, non ho mai fatto nulla di tutto ciò. Non ho mai scavalcato la finestra di notte, né solo, né con qualcuno. Il buio è spaventoso e non è sicuro girovagare nei campi, specialmente per un bambino.»

«Ma sì che eri tu! Io lo ricordo, lo ricordo come fosse ieri… 
Astolfo, ti ricordi di quando sei andato a lavorare in città e mi hai incontrata per la prima volta? Quando hai sperato di avermi, quando mi hai amata al primo sguardo, non appena ci siamo incontrati… non ricordi come mi osservavi titubante? Non ricordi il nostro incontro, il nostro amore regalato ed infranto in un attimo? Se solo avessi saputo che anch’io pensavo lo stesso di te… se solo avessimo annaffiato quell’amore mai nato, chissà come sarebbe cresciuto oggi!»

Astolfo balbettava confuso.
«No, no! Tutto ciò non è mai successo. Non comprendo la tua confusione. Non ho mai accettato quel lavoro in città! Non ho mai incontrato la donna che tu dici di essere… tu non sei nemmeno una donna. Che scherzo è mai questo? 
Non ostinarti a cercarmi nel tuo passato, io evidentemente non ci sono. Chissà quali stramberie ti portano a credere che tu mi conosca… chissà quali problemi, quale strano spettro ti affligge. Non eri tu e non ero io!»

«Ma certo Astolfo, scusami: ora la mia memoria si è fatta più chiara. 
Non ricordi quando avevamo dodici anni? Non ricordi quando ci arrampicavamo sugli alberi e guardavamo sopra le fronde verdi in cerca del futuro? Non lo ricordi?»

Astolfo ci aveva pensato su.
Effettivamente da ragazzo si arrampicava spesso su un grande ciliegio e una volta giunto sulla cima dell’albero, guardava oltre. Ma cosa poteva saperne quello straniero?

«È davvero buono questo cibo, è davvero buono.»

Su quel ciliegio guardava nell’oltre e attraverso l’oltre, a metà tra terra e cielo, dove tutto l’impalpabile prendeva forma di possibilità. Ma mai nessuno era venuto con lui. Mai nessuno si era arrampicato sul ciliegio per cercare con lui un segno di sorpresa, che nutrisse il cuore di una speranza esasperata, che lo risvegliasse dall’interminabile attesa della sua vita. 

«Allora Astolfo? Non ricordi, in quinta superiore, quando hai alzato la mano per dire che non eri d’accordo…»

«No. Io non l’ho mai fatto. Noi non ci conosciamo e io non ho mai fatto nulla di ciò che tu dici.»

I due si erano guardati a lungo.
«E perché no, Astolfo? Perché non lo hai mai fatto?»

«Non lo so» e mentre lo diceva si era seduto a tavola: «ora mangiamo.»

NOTA
Chi sarà l’ospite atteso? È tutto pronto: l’atmosfera è calda e accogliente, la tavola è apparecchiata con cura, i manicaretti emanano profumi deliziosi. Manca solo il convitato. L’ansia cresce, la trepidazione si fa palpabile. Finché il suono del campanello annuncia la fine dell’attesa…ma non è così. 
Il lettore entra nel nido domestico con i suoi profumi e colori che richiamano l’infanzia in un bagno proustiano di memorie. Poi, però, il sogno si sgretola, l’immagine dell’ospite sfugge al ricordo di chi non ne riconosce i tratti, non ne condivide i frammenti rievocati. L’arrivo dell’altro mistifica la gioia dell’attesa. Che l’ospite non sia altro che lo specchio dei desideri mai realizzati, il rimosso di un’identità sospesa ed espunta da sé, lo straniero che non si è saputo accogliere? Con delicatezza, la scrittrice accompagna per mano il lettore nei percorsi tortuosi della mente umana, tenendo alta la suspense.

Rossella Gattinoni


Per visualizzare la versione del racconto in PDF clicca QUI


LE PUNTATE PRECEDENTI:
-Racconti dalla Villa/0: L'Introduzione
-Racconti dalla Villa/1: Il Diluvio
-Racconti dalla Villa/2: Arlene di Piombo
-Racconti dalla Villa/3: Una mattina come tante
-Racconti dalla Villa/4: L'ombra sulla collina
-Racconti dalla Villa/5: Memorie di un gatto
-Racconti dalla Villa/6: Linee incidenti
-Racconti dalla Villa/7: Una questione sinistra
-Racconti dalla Villa/8: Rifiorire
-Racconti dalla Villa/9: Basta un raggio di sole
-Racconti dalla Villa/10: Guerre
-Racconti dalla Villa/11: Cunti
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